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Il Papa: ragazzi, fate come Livatino. Una vita per la giustizia

Ancora una volta papa Francesco, che ha fatto delle scogliere di Lampedusa un avamposto della denuncia della globalizzazione dell’indifferenza, si fa presente in una delle periferie più marginali del Sud Italia chiamando in causa i più giovani perché nel nome di Rosario Livatino, primo magistrato ad essere proclamato beato, rifiutino la sopraffazione mafiosa e prendano in mano la loro vita dando il meglio di loro stessi per il cambiamento della loro terra.

Il messaggio, che porta la data del 30 marzo scorso, apre il volume per ragazzi Rosario Livatino, la lezione del giudice ragazzino (collana “I giganti”, Di Girolamo editore) da oggi in libreria: una storia frutto dell’immaginazione dei due autori: Lilli Genco, giornalista e collaboratrice di Avvenire, e Alessandro Damiano, arcivescovo coadiutore di Agrigento.

Protagonisti del racconto sono due ragazzi di un piccolo paese della Sicilia, i quali rimangono profondamente affascinati dal carattere anti-eroico del giudice che imparano a poco a poco a conoscere. L’esempio del magistrato – che verrà proclamato beato questa domenica ad Agrigento – offre loro gli strumenti per leggere l’ambivalente realtà che li circonda, li aiuta a scegliere di stare dalla parte dei giusti, generando quella speranza che è la linfa di ogni processo educativo.

La speranza, che non risparmia dal male, ma dà la forza per affrontare gli ostacoli, anche quelli che appaiono insormontabili è, infatti, il filo conduttore del racconto e delle pagine di approfondimento dell’appendice in cui alla biografia del giudice agrigentino, a una raccolta delle sue frasi più importanti e a un “glossario della legalità”, fanno da cornice le testimonianze di altri protagonisti della vicenda.

La prima è quella di Pietro Nava, il testimone oculare dell’omicidio del giudice, un agente di commercio che per lavoro transitava sulla statale Canicattì-Agrigento proprio mentre i killer inseguivano Livatino per finirlo in fondo ad una scarpata in contrada Gasena il 21 settembre 1990 e che per via della testimonianza ha dovuto cambiare generalità, paese e distruggere persino i ricordi di famiglia.

Toccante anche quella di Gaetano Puzzangaro uno dei quattro killer del giudice, condannato all’ergastolo nel 1995, che da anni ha iniziato un percorso di revisione di vita. «Il giudice Livatino lavorava per tutti quei giovani che si erano persi nell’abbraccio mortale della criminalità. Lavorava, quindi, anche per me, per vedermi libero e vivo. Io non l’avevo capito», ha scritto in un messaggio ai suoi concittadini in cui rivolgendosi ai giovani li ha invitati a dire “no” ad ogni forma di coinvolgimento mafioso.

«È questa la storia recente del nostro Paese: segnata dalla corruzione della mafia, oggi non più fenomeno relegato al Sud, ma anche dalla luminosa testimonianza di uomini e donne coraggiosi, attori di una resistenza non violenta, semi e attivatori di un’altra cultura», scrivono gli autori.

«La giustizia che il giudice Livatino ha testimoniato non è solo quella umana che richiedono le leggi, ma quella di Dio che vuole rendere ogni uomo libero dalla schiavitù del male perché abbia la dignità che gli spetta – evidenzia il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento –. Livatino è una figura profetica perché, come dice il papa nel messaggio ai ragazzi, è l’uomo buono della porta accanto, senza nessuna voglia di protagonismo ma che davanti alla minaccia del potere mafioso non si è tirato indietro, mostrando la straordinarietà che si cela in molte esistenze ordinarie, martire di un sud libero ed esemplare, moderno modello di santità». (Fonte Redazione Catholica)

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