L’inestimabile ricchezza di essere suoi amici

Commento di Fra Giuseppe Di Fatta

VI Domenica di Pasqua – Anno B

Letture: Atti 10,25-27.43-35.44-48; Salmo 97; 1 Giovanni 4,7-10; Giovanni 15, 9-17

Un carissimo saluto di pace e gioia a tutti voi!

Continuiamo il Vangelo della settimana scorsa in questa VI Domenica di Pasqua, Anno B. Sottolineo Domenica di Pasqua e non dopo Pasqua, per cui siamo sempre nella prospettiva del Cristo morto e risorto che illumina e ci fa comprendere in profondità il Vangelo della Risurrezione. È il Cristo vivente che parla alla nostra vita. Di questo brano possiamo dire soltanto che è meraviglioso!

Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi

Questa espressione la possiamo definire come un’equazione matematica: come … così!pellicano-300x202 L’inestimabile ricchezza di essere suoi amici

La relazione tra Gesù e il Padre, e tra il Padre e Gesù, è una relazione di amore: il Padre ama il Figlio, il Figlio ama il Padre. La relazione tra Gesù e noi, e tra noi e Gesù, è anch’essa una relazione di amore: il Figlio ama noi, noi dobbiamo amare il Figlio. Tra il Padre e il Figlio, e il Figlio e noi, c’è una equazione di uguaglianza: come … così.

E questo è grandioso, perché l’amore tra il Padre e il Figlio, e tra il Figlio e il Padre, non è un sentimento affettivo, ma è lo Spirito Santo: l’amore tra il Padre e il Figlio è una Persona divina, è la terza Persona della Santissima Trinità.

Ed è proprio questo amore che deve circolare tra il Figlio e noi: lo Spirito Santo!

Rimanete nel mio amore

Questo rimanere significa stare in comunione con lui. Quando l’evangelista Marco racconta la vocazione degli apostoli, descrivendone le motivazioni, dice: Ne costituì Dodici, che chiamò apostoli, perché stessero con lui e per mandarli a predicare. (Mc 3,14). Li chiamò anche per mandarli a predicare, ma non principalmente, perché la prima motivazione è stare con lui. Lo stare con lui dell’evangelista Marco equivale al rimanere nel mio amore di Giovanni. È la stessa cosa: la possiamo definire la dimensione contemplativa della vita cristiana, stare con Gesù. Attenzione che questo non significa fare continuamente l’Ora Santa davanti al Santissimo Sacramento: quella la facciamo, senz’altro! Ma il significato è un altro…

È un atteggiamento di vita, prima ancora che un momento liturgico: Gesù deve essere presente in noi anche quando facciamo mille cose, anche quando la testa è occupata, anche quando le mani sono impegnate. Rimanere in lui è fondamentalmente la comunione con il Signore, stare uniti a lui, con lui, per lui. Domenica scorsa aveva detto Rimanete in me, adesso dice Rimanete nel mio amore.

E spiega cosa significa:

Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore

Quindi rimanere nel suo amore, non è un fatto romantico, sentimentale, ma consiste nell’osservare i suoi comandamenti. L’amore per Gesù si mostra e si dimostra nel fare quello che lui ci dice, non con un palpito del cuore! È un’azione concreta, è un’obbedienza a Lui nella fede, fare quello che lui ci dice.

Quando il Vangelo parla di comandamento non si riferisce al Decalogo: il comandamento è la Rivelazione, la sua Parola; infatti dirà:

rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio

Mi sembra molto riduttivo pensare che Gesù abbia osservato i 10 comandamenti: è molto di più! La sua è obbedienza piena e totale alla volontà del Padre! Infatti dice: Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. (Gv 6,38)

e rimango nel suo amore.

Anche quando Gesù è impegnato a predicare alle folle o ad istruire i discepoli, rimane sempre nell’amore del Padre, cioè in piena comunione con Lui.

Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena

La gioia è un dono di Dio; non è soltanto quel sentimento di allegrezza che proviamo quando le cose ci vanno bene e siamo contenti, il che è pure una cosa bella e buona. La gioia viene da Dio, per cui, come tutti i suoi doni può essere chiesto. E non soltanto può essere chiesto, può essere anche educato.

Oggi è difficilissimo far comprendere questo concetto, quasi che l’uomo sia soltanto ciò che sente. No! Ci si può educare alla gioia, si può chiedere la gioia, ci si può sforzare di essere nella gioia: come tutti i doni di Dio lo si può far crescere! Gesù, infatti, dice: Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena. (Gv 16,24). Poi il Vangelo continua:

Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi

Foto Raffaella Nardone

Quello che ho detto della gioia, si applica anche all’amore. Addirittura Gesù ce lo lascia come un comandamento nuovo.L’amore è un sentimento di bene (far funzionare il cuore), ma è anche una volontà di bene (far funzionare la testa), per cui col cuore posso dire Ti voglio bene, con la testa devo dire Voglio il tuo bene, e volere il bene dell’altro è una volontà! La testa deve lavorare, soprattutto quando i sentimenti si indeboliscono. L’amore che Gesù ci chiede va oltre le simpatie umane e volere bene così, non è facile! Accettare l’altro con i suoi limiti, i suoi difetti, accettare di amare una persona senza essere ricambiati, accettare di fare del bene senza ricevere nemmeno un grazie, senza che questo bene non venga gradito o venga frainteso è veramente difficile! L’amore fraterno è un comandamento perché è una meta non raggiunta. Un traguardo verso cui continuamente tendere, mai completamente conquistato.

Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici

Il dare la vita è la misura dell’amore. Qui amore e vita coincidono: dò tutta la vita per esprimerti e donarti tutto il mio amore. Per Gesù, dare la vita, significa morire, ma per noi significa la fatica di offrire la vita vivendo, spendendosi nel dono di sé, nell’abnegazione, nel servizio, perché amore significa diaconia, mettersi a disposizione degli altri. Dare la vita significa anche dolore fisico, mal di pancia, insonnia, preoccupazione per il bene dell’altro. Dare la vita è superare quella sottile ma persistente tentazione che abbiamo, di evitare il problema di un fratello difficile, ignorandolo ed emarginandolo. Su questo argomento ognuno ha qualcosa da rimproverare agli altri. Ma forse anche gli altri hanno qualcosa da dire a noi: nessuno è perfetto.

Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Bellissima questa espressione! Il servo deve stare al suo posto, a distanza, non conosce il pensiero del padrone. L’amicizia invece si realizza in una relazione profonda e alla pari. Le relazioni tra Dio e l’uomo sono sempre dispari: Dio–uomo, Creatore–creatura, Cielo-terra, Salvatore–salvato, Redentore–redento. Queste sono relazioni dispari nel senso che lui sta lì e noi siamo qui, Lui è il Signore e noi siamo suoi discepoli. Ma ci sono nella Bibbia almeno due immagini che esprimono la relazione tra Dio e l’uomo non come diversità e disparità, ma come parità e complicità. La prima è la relazione di amicizia, perché tra amici non c’è uno superiore all’altro. Gesù nel chiamarci amici si abbassa fino a noi e innalza noi fino a Lui, in modo da arrivare insieme allo stesso livello, perché gli amici si guardano negli occhi e poi guardano insieme verso un’unica direzione. Questo è il grande dono del Signore fatto a ciascuno di noi, che ci mette nelle condizioni di non sentirci mai soli, di avere una spalla su cui appoggiarci, una mano che ci sostiene, un grande amico in cui confidare e a cui affidare le cose più personali, con la certezza che non ci tradisce mai!

La seconda immagine è ancora più ardita e profonda, ed è la dimensione nuziale: Gesù si presenta come lo Sposo e noi come Chiesa siamo la Sposa; anche qui non c’è disparità, perché sposo e sposa sono uno di fronte all’altro. Abbiamo un tesoro grandissimo: siamo amici di Gesù, perché ci ha aperto il suo cuore, facendoci conoscere ciò che ha udito dal Padre suo e ci permette di aprire il nostro cuore a Lui, consegnandogli ciò che abbiamo di più prezioso e intimo.

Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi

Questo è il principio vocazionale: nella scelta, l’iniziativa è di Dio; la vocazione è chiamata di Dio e risposta dell’uomo, ma il primo passo lo fa lui. In questo sta l’amore, non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. (1Gv 4,10) Quindi il primo passo lo fa sempre il Signore, l’iniziativa è sua. Quello che siamo chiamati a fare noi è la risposta ad una proposta.

Vi ho costituiti perché andiate

Interessante! Aveva detto Rimanete in me, rimanete nel mio amore. Adesso dice andate. In questo rimanere e andare c’è proprio il movimento della vita cristiana: solo se rimaniamo possiamo andare, e non ha senso andare se prima non rimaniamo.

È come il battito del cuore! Diastole e sistole: il cuore assorbe il sangue e lo rigenera, poi lo pompa per far circolare l’ossigeno in tutto l’organismo. La vita cristiana si realizza tutta qui: in questo rimanere, dimensione contemplativa, e in questo andare, dimensione missionaria.

Un Vangelo meraviglioso, un Vangelo importante, intrigante ed impegnativo.

Se noi ci sentiamo molto distanti dalla capacità di realizzarlo, ricordiamoci che mettere in pratica la Parola del Signore è prima di tutto un dono suo, poi un impegno nostro: quindi, più che ad attivare chissà quali sforzi umani per realizzarla, vi invito ad aprirvi alla sua grazia e alla sua azione santificante. In questo modo ci prepariamo alla Pentecoste, perché lo Spirito Santo, forza e fuoco di Dio in noi, purifichi le scorie del nostro peccato e ci renda coraggiosi e gioiosi testimoni di Cristo Signore. Amen.

Buona domenica a tutti.

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