“Uomo della pietra e della fionda, uomo del mio tempo, tacciano le armi, si inizi un cammino nuovo, si annunci a tutti il Vangelo della pace” Il forte messaggio, il grido, l’esortazione dell’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice durante la veglia di preghiera per la pace in Ucraina e nel mondo sul Sagrato della Cattedrale. “Il conflitto è un fatto assurdo, come un passo indietro nella storia, un ritorno nel vecchio secolo”
Di seguito il testo dell’intervento di Mons. Lorefice
Tutto questo è accaduto in un dinamismo lineare, che veniva da lontano e che ha messo insieme il primato demoniaco della finanza, lo sfruttamento senza scrupoli di miliardi di persone, l’irrigidimento politico di regimi sempre più autocratici, sempre più affidati alla forza effimera di un uomo solo al comando, di un führer, o meglio di un verführer, di un seduttore. C’è una relazione intima tra l’oligarchia economica e l’oligarchia politica, tra la crisi delle democrazie come spazi di partecipazione, discussione, di parola, di dialogo, e la crisi di un mondo squilibrato e ingiusto, che schiaccia i popoli africani, i popoli sudamericani, i popoli del lontano Oriente, costringendoli spesso a migrazioni epocali.
Di fronte a questa guerra non possiamo anzitutto non chiedere con tutte le nostre forze che ci sia un cessate il fuoco, che tacciano le armi, che si metta fine a questa invasione insensata, che il popolo dell’Ucraina torni a vivere in pace. Penso ai tanti innocenti morti in questi giorni. Sento lo strazio dei padri rimasti a combattere, che hanno salutato piangendo le loro donne, i loro figli in partenza verso luoghi sicuri. Penso cioè al dolore della guerra e ai segni di umanità, di passione per la verità e la giustizia che non sono mancati in questi giorni. Mi risuonano alle sagaci parole di Lev Dodin, un grande regista russo quasi ottantenne: «La misericordia, la compassione e l’empatia non sono soggette alla volontà degli stati e dei politici. È impossibile dettare alla gente quando e per chi deve avere paura, quando e per chi deve avere pietà. Attualmente, nessuno Stato ha imparato a comandare i sentimenti degli uomini» (Lettera aperta a Putin, 2 marzo 2022).
Non leggiamo gli eventi di questi giorni – care sorelle, cari fratelli – solo come un incidente, come la reazione paranoica di un dittatore. Quel che succede oggi viene da lontano e ci interpella tutti. Ci chiede se vogliamo continuare a perseguire il logos della guerra o il logos della pace. Se vogliamo ascoltare la beatitudine dei costruttori di pace o continuare a credere che solo la guerra sia la risoluzione ultima dei conflitti. In questo momento si corre alle armi, si scambiano le armi, si usano le armi. Sempre più subdole e micidiali. Ma i popoli europei per primi devono ricordare che non saranno le armi, non saranno i blocchi, non saranno le contrapposizioni assurde e fittizie tra l’Occidente democratico e l’autocrazia dell’Oriente (è la ‘nostra’ visione), ovvero tra la Russia dei valori e l’Occidente capitalistico e decadente (è la visione di Putin) a rompere il cerchio del secolo vecchio, del Novecento che non vuole morire.
Ecco perché chiedo a tutti noi stasera – come fece Gesù di Nazareth davanti a quanti ascoltavano il suo discorso dalla montagna – di levarci in piedi, di iniziare un cammino nuovo. Un cammino di giustizia, in cui il sentimento e la compassione vengano prima del profitto e dell’economia. Un cammino in cui i popoli abbiano di nuovo la parola e non i potenti, gli oligarchi, i grandi della Terra. Un cammino in cui l’accoglienza dell’altro prevalga sulla paura e sulla divisione. Un cammino – ricordiamolo – che riguarda la politica ma tocca anche la nostra vita di ogni giorno. Perché tutto questo non potrà essere se le nostre case non saranno aperte, se le nostre relazioni intime non saranno improntate alla dolcezza e alla comprensione, se i nostri volti e i nostri corpi non si riconosceranno, se non porteremo le sofferenze e le gioie gli uni degli altri, se non condivideremo il peso e la bellezza della vita.
Qualcuno dirà che quanto sto dicendo è solo un sogno, un’utopia. Non ho difficoltà a dire che è vero: questo è il sogno di Dio. Lo stesso sogno che abbiamo letto nel volto di quel soldato russo catturato e accudito dai suoi fratelli ucraini. Lo stesso sogno che ho sentito all’opera nel coraggio di migliaia di persone che nelle piazze russe hanno manifestato contro la guerra, consapevoli del rischio di essere arrestati, picchiati, schedati. Lo stesso sogno di quanti si sono prodigati, sono partiti, da donne e uomini comuni, per portare cibo, vestiti e medicine lì dove c’era dolore e distruzione. Quel sogno è vivo, operante. È la nostra realtà e tutta la nostra speranza.