• 6 Dicembre 2024 5:27

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Cammino sinodale. Agenzia Sir intervista Mons. Raspanti, Vescovo di Acireale

“Nella pratica quotidiana siamo ancora all’alba di una sinodalità praticata e vissuta. È necessario il buon equilibrio tra la capacità di intuire i problemi, istruirne le situazioni e le problematiche, decidere e mettere in atto procedimenti che portino a delle decisioni per quanto possibile condivise”. Così mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e presidente della Conferenza episcopale siciliana

Mettere in pratica i grandi principi della “Lumen Gentium”, la comunione e la missione, per fare in modo che la sinodalità, nella pratica quotidiana, venga praticata e vissuta. Questo l’invito di mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e presidente della Conferenza episcopale siciliana, a pochi giorni dalla prima delle due Assemblee sinodali di Roma. Un cammino, quelle delle Chiese di Sicilia, non facile ma basato sul confronto e la condivisione di prassi positive e anche delle difficoltà nel cammino quotidiano. 

Il Cammino Sinodale delle Chiese in Italia giunge alla prima “grande visione d’insieme” con le due Assemblee sinodali che si terranno a Roma dal 15 al 17 novembre 2024 e dal 31 marzo al 4 aprile 2025. Cosa si attende?
In questa prima assemblea dovremmo cercare di compulsare i mille e passa delegati su tutta una serie di prospettive, linee o possibili decisioni o grossi argomenti sui quali, già da tre anni, le singole diocesi ci hanno fatto prevenire il materiale, che adesso è formalizzato, studiato, approfondito e rimesso nelle loro mani. Questo è un passaggio cruciale perché da qui si genereranno le vere proposte che saranno fatte nella fase successiva di gennaio-marzo e discusse poi nella seconda assemblea che dovrà prendere le decisioni. Che cosa mi attendo? Che i delegati si approprino di tutto ciò che è venuto fuori dalle assemblee e siano in grado, nella fase successiva, di essere “la buona catena di trasmissione”, ovvero che si approprino dello spirito e delle buone proposte emerse e sappiano poi entusiasmare gli altri, trasmettendo le possibili nuove prospettive. Insomma mi aspetto cheil movimento di questo cammino sinodale, voluto dalla Cei e da Papa Francesco, venga accolto e che ci si inserisca tutti al suo interno.

Questo movimento è già partito o ancora deve partire?
È già partito. Ci sono stati circa 50.000 gruppetti di discussione, di ascolto, di “conversazione nello spirito”, che si sono tenuti già il primo anno. Quindi il movimento è stato già messo in atto. Naturalmente sono venute fuori opinioni diverse, difficoltà oggettive, a partire dalla questione giovanile – perché i numeri dei giovani che frequentano non sono alti – all’anzianità degli operatori pastorali, sia chierici che laici, che mi auguro si riesca ad affrontare e risolvere.

Che percorso ha fatto la Chiesa siciliana in questo tempo?
Sul piano regionale abbiamo una sorta di intesa e raccordo praticamente continuo. In questi tre anni abbiamo espletato tutti i passaggi che sono stati richiesti. Nell’ottobre 2023 si è tenuta un’assemblea regionale, partecipata da circa 400 delegati, per fare il punto della situazione e sviluppare delle possibili linee che potessero accomunare le varie diocesi dell’isola. Naturalmente ci siamo fermati lì in attesa delle proposte del cammino nazionale. È immaginabile che quando il cammino nazionale arriverà al punto finale, maggio 2025, dovremmo necessariamente incontrarci nuovamente a livello regionale per discutere e confrontarci.

Sono emerse, in questo cammino regionale, delle difficoltà a livello diocesano? Diocesi che lavoravano un po’ più alacremente, Diocesi che andavano un pochino più lente o avevano bisogno di essere stimolate?
Sì, onestamente sì. Per quel minimo che abbiamo potuto intuire, ci sono state delle differenziazioni. Abbiamo registrato in delle diocesi la realizzazione di incontri, piccoli convegni, giornate di studio anche su singoli argomenti, come l’iniziazione cristiana. Altre, invece, in cui il cammino è andato molto più a rilento.

Che esigenze di cambiamento sono emerse dal clero e dal laicato?
Il cambiamento è invocato dalla gran parte del clero e dei fedeli, ma non da tutti. Che la vita cristiana, l’annuncio cristiano, in tutto il territorio siciliano come in quello italiano, incontri delle difficoltà, sia affievolito ed indebolito è un dato comune da tutti accettato, ma cambiano le letture del fenomeno. E questo fa sì che ci sia chi, devo dire una frangia minoritaria, vorrebbe mantenere una pastorale ordinaria, essenziale, ma il più possibile continua. C’è una frangia molto più grande che invece parla di immettere cambiamenti. Ma la parola cambiamento non è da tutti intesa allo stesso modo e non è da tutti accettata. Clero e laici hanno compreso come la situazione odierna non vada bene, ma di contro molti credono che le grandi innovazioni, i grandi cambiamenti, lascino il tempo che trovano. Ma, come dicevo, questa è una minoranza. La maggioranza invece vuole approcciarsi in modo nuovo, con linguaggi nuovi, come già avviene ad esempio nella pastorale giovanile o nel mondo degli oratori.

Quanto è importante la sinodalità all’interno della Chiesa?
Dico che è essenziale. Il Papa lo ha ribadito: la sinodalità è il modo di mettere in pratica i grandi principi della Lumen Gentium che sono appunto la comunione e la missione. Quindi il trinomio “comunione, partecipazione e missione”, è la coniugazione pratica della “Lumen Gentium” e del Concilio Vaticano II. Ciò che si avverte è, a volte, una certa discrasia tra la proclamata sinodalità e i tentativi di prassi sinodali, che oggi, devo dire la verità, sono abbastanza farraginose. A questa poi, a volte, si aggiungono una serie di singole prese di posizione incomprensibili dovute o a un eccesso di centralizzazione e di autoritarismo nei parroci, nei vescovi, o al contrario di immobilismo. Nella pratica quotidiana siamo ancora all’alba di una sinodalità praticata e vissuta. È necessario il buon equilibrio tra la capacità di intuire i problemi, istruirne le situazioni e le problematiche, decidere e mettere in atto procedimenti che portino a delle decisioni per quanto possibile condivise. Quindi è necessario che soprattutto l’ordine sacro, che ha la responsabilità ultima delle decisioni, goda di quella capacità di discernere e di decidere e che poi le decisioni possano essere veramente accolte dal popolo di Dio.