• 13 Novembre 2025 6:23

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

Don Benzi, prete con la “tonaca lisa” e il cuore di un mistico

«Don Benzi, come vedremo, non è nato santo». Con un po’ di superficialità, siamo abituati a immaginare don Oreste Benzi come il bambino che a sette anni tornò a casa da scuola e disse a sua madre «io farò il prete» e, sulla base della precocissima vocazione, a considerarlo un predestinato. Uno che senza fatica, per grazia ricevuta, era già da sempre il “santo” del quale è in corso la causa di beatificazione. Invece è proprio la sua postulatrice Elisabetta Casadei, teologa e docente di Filosofia all’Istituto di Scienze religiose di Rimini e alla Pontificia Università Gregoriana, a raccontare per la prima volta il lungo e articolato percorso di maturazione spirituale del sacerdote romagnolo, nato cent’anni fa e morto il 2 novembre 2007, diciotto anni fa. Lo fa con un prezioso volume, “La mistica della tonaca lisa” (Sempre Editore, 328 pagine, 19 euro), chiarendo già in prefazione che don Oreste ha lavorato ostinatamente tutta la vita per lasciarsi trasformare dalla grazia.
don-oreste-benzi-300x200 Don Benzi, prete con la “tonaca lisa” e il cuore di un misticoPer dimostrarlo, Casadei parte dalla sua normale umanità, addirittura dai suoi difetti: «La novità di queste pagine sta proprio nel presentarlo non come eroe spirituale, ma come un uomo in cammino verso la santità. Testardo, disordinato, impaziente… eppure capace di una fede in grado di vivere tutta la vita in modo eccezionale», scrive nell’introduzione Matteo Fadda, responsabile generale della Papa Giovanni XXIII, la Comunità fondata da don Benzi nel 1968 e oggi presente in 40 Paesi. «Iniziare la biografia spirituale di un servo di Dio candidato agli onori degli altari, mettendo da subito in luce le sue debolezze, potrebbe sembrare una scelta infelice. È esattamente il contrario», conferma l’autrice nel libro, non vi è modo migliore per far risaltare quanto «l’amore di Dio è stato capace di tirar fuori da uno di noi un “fratello gemello” di Cristo». Nessuno più di lei era titolato a sondare il vero animo di don Benzi, non fosse altro per le 18mila pagine di documentazione che si è studiata per la causa di beatificazione, non solo gli interventi più noti ma un mare di scritti inediti, lettere private, bigliettini, appunti, meditazioni.
L’autrice, insomma, non formula opinioni personali ma si attiene ai fatti, con metodo diremmo scientifico, al punto che si ha l’impressione che don Benzi stesso abbia scritto il volume, affidando la penna alla teologa e tenendole la mano mentre scriveva.
Dunque, spiega l’autrice, non ci sono state conversioni lampo né folgorazioni ma un percorso di fede che si innalza come una spirale ascendente, lungo tre tappe principali. La prima è quella che il sacerdote definiva «vivere per Gesù», quando il suo essere giovane prete significava soprattutto agire, essere «il facchino di Dio». La seconda tappa, il «vivere con Gesù», è l’approdo dei sessant’anni, quando ormai il suo rapporto col Signore è un’amicizia fedele, un dialogo intimo e quotidiano. Ma è a settant’anni che la spiritualità di don Benzi diventa innamoramento totale, un’immersione tale in Cristo che la postulatrice metaforicamente lo descrive come una stoffa immersa nell’acqua al punto da perdere le sue forme e diventare un unicum con essa. È questa la fase del «vivere in Gesù», una relazione d’amore trasformante, la “mistica” di cui parla il titolo del libro: don Benzi fu dunque un mistico, ben più del buon prete tuttofare al servizio degli ultimi che conosciamo. Il suo inarrestabile donarsi ai fratelli fragili, quindi, non è filantropia né attivismo ma la conseguenza diretta del suo cuore innamorato di Dio «che vede la carne di Cristo nella carne dei poveri».
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Foto di Riccardo Ghinelli

La mistica di don Benzi, dunque, non è fenomeno straordinario né estasi, ma abbandono totale al Padre che si traduce nell’amore per «i piccoli». Il vertice di questa ascesa è il concetto di «espiazione», da sempre intuìto ma colto appieno verso i settant’anni, quando ciò cui aspira don Benzi è «prendere su di me i limiti, i difetti, i peccati dell’altro e pagare per lui, liberarlo. Con cosa? Con l’amore». Se la parola espiazione riporta all’idea di sofferenza, di sacrificio per lavare una propria colpa, per lui non ha nulla a che fare col dolore ma con l’amore: di Dio e del fratello. Non si tratta di una mistica “misterica”, lontana dai comuni mortali, ma anzi di una completa condivisione, se non compenetrazione, con la vita degli scartati, quelli che lui chiamava «gli angeli crocefissi». Non una mistica centripeta, potremmo dire, ma centrifuga, che parte da un nucleo densissimo per espandersi come l’universo dopo il Big bang.

Una simile concezione della vita cristiana non poteva che generare il carisma tuttora vivo nella Papa Giovanni XXIII, la «condivisione diretta» (non elargire aiuti ai poveri ma vivere con loro) e la «società del gratuito» (non investire per accumulare, ma per costruire il bene comune, ottenendo una retribuzione secondo il bisogno). È il ribaltamento delle logiche umane che causano ogni violenza, prevaricazione, ingiustizia, guerra: come scrive Fadda nell’introduzione, «oggi più che mai, in un mondo che misura il valore delle persone in base all’apparenza, alla produttività e al profitto, è una proposta profetica», specie per chi si dice cristiano.
Illuminanti i capitoli che entrano nel vivo della vita quotidiana di don Benzi, come quello dedicato al suo rapporto con le donne, all’inizio limitato, poi sempre più ammirato e spalancato a nuove prospettive («Se lo Spirito Santo guidasse la Chiesa a dare il sacerdozio anche alle donne, e ai preti a sposarsi, sarei apertissimo», scrive, nonostante la sua ferma convinzione al proprio celibato), o quello dedicato alla morte, quando «la nostra mamma Maria ci dirà: ecco, sei arrivato!» (dall’omelia del 1° novembre 2003). Cosa pensasse della santità lo tratteggia nitidamente l’agiografo Valerio Lessi nella vivace prefazione: «Era convinto che la conversione del mondo non avverrà per opera di singoli santi, in cui vedeva il rischio devozione, ma di un “popolo santo”». Per questo esortava tutti, «Siate santi!», e a ogni anima persa (nell’ottica miope della nostra società) infondeva la speranza di una seconda occasione: «Dai, ci stai?». Migliaia di scartati lo hanno seguito, diventando testate d’angolo.