• 28 Aprile 2024 21:31

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

Don Tonino Bello, profeta scomodo a 30 anni dalla morte

La memoria di don Tonino Bello continua ad abitare nei cuori di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo o di leggere qualche suo scritto anche a 30 anni dalla sua scomparsa (20 aprile). Qualche mese prima (dicembre 1992), partendo dal porto di Ancona, andammo insieme a Sarajevo, città martirizzata da nove mesi di assedio serbo. L’11 dicembre, entrando in città nel buio silente della sera (erano circa le 7) don Tonino annotava come la nostra presenza fosse quella di una Onu dal basso, mentre quella ufficiale e corazzata ben si guardava dal percorrere dopo l’imbrunire il “vialone della morte” crivellato dai cecchini. Le bombe chiamano bombe, diceva, mentre il nostro essere lì in pace testimoniava al mondo intero che un’alternativa esisteva, e funzionava… Il giorno dopo l’incontro con la gente, la sosta nei principali luoghi di culto delle varie comunità religiose (musulmana, cristiana cattolica, cristiana ortodossa, ebraica) e il discorso sulla nonviolenza con i capi delle diverse religioni in lotta. Da quella tregua profetica nella guerra dei Balcani, una lezione per il presente.

Quell’esperienza è la sintesi del testamento spirituale vivo ancora oggi di don Tonino, vescovo scomodo, contro le armi e la guerra, a favore dei diritti e dei poveri. “L’altro è un volto da scoprire, da contemplare, da togliere dalle nebbie dell’omologazione; un volto da contemplare, da guardare e da accarezzare”, scriveva. Nel decennale del suo pontificato, papa Francesco lo ha citato in un’intervista a “Il Fatto Quotidiano” come esempio di pastore che stava in mezzo al suo popolo e ha lottato con tutte le sue forze per la pace. Un uomo non compreso nel suo tempo, perché era molto avanti. Lo si sta riscoprendo oggi. Un profeta!

Don Tonino, dichiarato venerabile nel 2021, auspicava una “Chiesa del grembiule”, cioè del servizio, piuttosto che quella dei paramenti. Il grembiule è l’unico paramento sacerdotale ricordato nel Vangelo (Gv 13, 3-5).
Come vescovo sentiva l’impegno di sollevare il problema della pace davanti alla Chiesa, non come un problema accessorio, ma come un tema fondamentale. Diceva infatti che “la violazione dei diritti umani, il problema della fame che investe popoli interi, la corsa alle armi e il commercio clandestino di esse, la logica di guerra sottesa a molte cosiddette ‘scelte di civiltà’, gli scudi stellari, certe visioni economiche… sono forme di peccato. Non possono perciò considerarsi temi estranei alla predicazione del Vangelo”.

Don Tonino incalzava, sostenendo che accanto alla denuncia ci dev’essere una proposta, un’azione. E anche se le soluzioni trovate sono parziali, dobbiamo accogliere positivamente i piccoli passi, per camminare con fiducia e avere speranza per il futuro. Don Tonino difendeva a spada tratta l’alternativa della difesa nonviolenta, che “non è un sentimento per novizie, ma una scienza articolata e complessa”. Per scongiurare le divisioni e la guerra occorrerebbe anche parlare di «ferialità della pace», per viverla nel quotidiano dei nostri rapporti, della nostra vita. “La pace si costruisce”, scriveva, “anche nelle pieghe sotterranee dell’esistenza”.

(Fonte lavitadelpopolo.it)