• 3 Maggio 2024 21:31

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

Commento di Fra Marcello Buscemi e Suor Cristiana Scandura

Sabato della IX settimana del Tempo Ordinario

Lettura Tb 12,1.5-15.20; Salmo Tb 13; Vangelo Mc 12,38-44

Riflessione biblica

“Guardatevi dagli scribi: amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti” (Mc 12,38-44). Non è che Gesù considerasse tutti i farisei e scribi in questo modo. Allo scriba, che aveva risposto saggiamente sul comandamento dell’amore, disse: “Non sei lontano dal regno di Dio” (Mc 12,34). Gesù non condanna. ma invita a cambiare il modo di vivere il proprio rapporto con Dio e con il prossimo. Vanità, ostentazione, avidità: pericoli che incombono sugli “scribi” di ogni tempo, ma anche sui discepoli di Gesù. Essi sanno qual è il modello: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita” (Mt 11,29). Non basta apparire cristiani, bisogna esserlo nella realtà: “Chi dice di rimanere in Gesù, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato” (1Gv 2,6). Senza peli sulla lingua, Gesù mette in rilievo tre difetti del fariseismo”: vanità, ambizione, avidità. La vanità: brutta malattia dello spirito; ne soffre chi cura con eccesso la propria immagine per apparire migliore degli altri; ipocrisia che recita la parte del giusto senza esserlo: “State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 6,1). L’ambizione: smania interiore di chi cerca di emergere, cercando di sopravvalutare se stesso e di mettersi in mostra; vera nemica dell’umiltà, tanto che Gesù diede ai suoi discepoli quest’insegnamento: “Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti” (Mc 10,43-44). L’umiltà è medicina salutare contro l’ambizione: “Non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato” (Rom 12,3). L’avidità: un male che intacca la fede in Dio: “L’avidità del denaro è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede” (1Tim 6.10). È un idolo, di cui si diviene schiavi: “Non potete servire Dio e Mammona”. All’opposto di queste persone: una povera vedova, ma saggia di cuore. Ama Dio offrendogli “tutto ciò che aveva: due spiccioli, tutto ciò che aveva per vivere” (Mc 12,44).

Lettura esistenziale

«In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12, 43s). Nel Vangelo di Marco, l’ultimo personaggio che Gesù incontra è una povera vedova. Gesù fa di lei, una donna senza nome e senza titoli, un esempio, un modello, una maestra. Un gesto di bontà e di generosità, per quanto piccolo sia, non è mai irrisorio e insignificante, né agli occhi di Dio, né agli occhi degli uomini. Non sono i grandi gesti che contano ma l’intensità dell’amore che vi mettiamo dentro. In confronto alle altre persone ricche che versano nel tempio tante monete, questa povera vedova dona pochissimo, soltanto due spiccioli, ma per Gesù ella dà di più perché dona tutto ciò che ha.

“La domanda dell’ultima sera risuonerà con lo stesso verbo: hai dato poco o hai dato molto alla vita? Dove tu passavi, dietro di te, rimaneva più vita o meno vita? I primi posti appartengono a quelli che, in ognuna delle nostre case o città, danno ciò che fa vivere, regalano cuore con gesti piccoli e grandi, gesti di cura, accudimento, attenzione, gentilezza, rivolti ai genitori o ai figli o a sconosciuti. Fossero anche solo due spiccioli di bontà, solo briciole, solo un sorriso o una carezza, chi li compie con tutto il cuore crede nel futuro. La notte comincia con la prima stella, il mondo nuovo con il primo gesto di un piccolo samaritano buono” (Ermes Ronchi).