Pubblichiamo il Messaggio per la 16ª Giornata nazionale per la custodia del Creato. Appuntamento che anche quest’anno sarà celebrato il 1° settembre. A firmare il documento della Chiesa italiana sono la Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace e la Commissione episcopale per l’ecumenismo il dialogo. Il titolo, che riprende un passo della Lettera di san Paolo apostolo ai Romani, è: “Camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). La transizione ecologica per la cura della vita.
L’epoca che stiamo vivendo è piena di contraddizioni e di opportunità. Nella fede siamo chiamati ad abbandonare ciò che isterilisce la nostra vita: nell’incontro con Cristo rinasce la speranza e diveniamo capaci di rinnovata fecondità. San Paolo nella lettera ai cristiani di Roma ricorda il grande annuncio pasquale che si realizza nel battesimo di ciascuno: in Cristo siamo morti al peccato e “possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). La vita nuova di cui si parla colloca il discepolo di Gesù in una comunione profonda con Dio. A partire da questa esperienza possiamo immaginare una vera fraternità tra gli uomini, come suggerisce l’Enciclica Fratelli tutti, e una nuova relazione con il creato, secondo il disegno dell’Enciclica Laudato si’.
In cammino verso la 49ª Settimana Sociale
La 16ª Giornata nazionale per la custodia del Creato vede la Chiesa che è in Italia in cammino verso la 49ª Settimana Sociale dei cattolici italiani, che avrà per titolo “Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso”. La strada che conduce a Taranto richiede a tutti un supplemento di coinvolgimento perché sia un percorso di Chiesa che intende camminare insieme e con stile sinodale. La speranza che ci muove alla cura del bene comune si sposa – sottolinea l’Instrumentum Laboris – con un forte senso di urgenza: occorre contrastare, presto ed efficacemente, quel degrado socio-ambientale che si intreccia con i drammatici fenomeni pandemici di questi anni. “Il cambiamento climatico continua ad avanzare con danni che sono sempre più grandi e insostenibili. Non c’è più tempo per indugiare: ciò che è necessario è una vera transizione ecologica che arrivi a modificare alcuni presupposti di fondo del nostro modello di sviluppo” (IL, n. 20).
Viviamo, dunque, un cambiamento d’epoca, se davvero sappiamo leggerne i segni dei tempi. Di qui l’invito a una transizione che trasformi in profondità la nostra forma di vita, per realizzare a molti livelli quella conversione ecologica cui invita il VI capitolo dell’Enciclica Laudato si’ di papa Francesco. Si tratta di riprendere coraggiosamente il cammino, lasciandoci alle spalle una normalità con elementi contraddittori e insostenibili, per ricercare un diverso modo di essere, animato da amore per la terra e per le creature che la abitano. Con tale transizione diamo espressione alla cura per la casa comune e corrispondiamo così all’immagine del Dio che, come un Padre, si prende cura di ognuno/a.
La transizione come processo graduale
Proprio l’idea del cammino rimanda al paradigma biblico dell’esodo, che prevede sia il coraggio di abbandonare antiche logiche sbagliate, sia la capacità di affrontare le crisi nel deserto, sia il desiderio di alimentare la speranza di poter raggiungere la terra promessa. Fuori dalla metafora, appare chiaro che ogni percorso di conversione è sottoposto a momenti di prova. La transizione rimanda a una serie di passaggi e alla capacità di discernimento per capire quali scelte siano opportune. Come il popolo d’Israele nei quarant’anni di passaggio dalla schiavitù verso la terra promessa ci attende un periodo di importanti decisioni. C’è sempre il pericolo di rimpiangere il passato, di sfuggire alla stagione del cambiamento e di non guardare con fiducia all’avvenire che ci attende. Nella transizione ecologica, si deve abbandonare un modello di sviluppo consumistico che accresce le ingiustizie e le disuguaglianze, per adottarne uno incentrato sulla fraternità tra i popoli. Il grido della terra e il grido dei poveri ci interpellano, così come il grido di Israele schiavo in Egitto è salito fino al cielo (Es 3,9). La ricchezza che ha generato sprechi e scarti non deve far nascere nostalgie. Tra mentalità vecchie, che mettono in contrapposizione salute, economia, lavoro, ambiente e cultura, e nuove possibilità di tenere connessi questi valori, come anche l’etica della vita e l’etica sociale (cfr Caritas in veritate, n. 15), abitiamo la stagione della transizione. Ci attende una gradualità, che tuttavia necessita di scelte precise. La nostra preoccupazione è di avviare processi e non di occupare spazi o di fermarci a rimpiangere un passato pieno di contraddizioni e di ingiustizie. Ci impegniamo ad accompagnare e incoraggiare i cambiamenti necessari, a partire dal nostro sguardo contemplativo sulla creazione fino alle nostre scelte quotidiane di vita.
La transizione giusta
La transizione ecologica è “insieme sociale ed economica, culturale e istituzionale, individuale e collettiva” (IL, n. 27), ma anche ecumenica e interreligiosa. È ispirata all’ecologia integrale e coinvolge i diversi livelli dell’esperienza sociale che sono tra loro interdipendenti: le organizzazioni mondiali e i singoli Stati, le aziende e i consumatori, i ricchi e i poveri, gli imprenditori e i lavoratori, le nuove e vecchie generazioni, le Chiese cristiane e le Confessioni religiose… Ciascuno deve sentirsi coinvolto in un progetto comune, perché avvertiamo come fallimentare l’idea che la società possa migliorare attraverso l’esclusiva ricerca dell’interesse individuale o di gruppo. La transizione ecologica presuppone un nuovo patto sociale, anche in Italia.
Per realizzare tale transizione sono molti i piani su cui agire simultaneamente. Occorre, da un lato, approfondire l'”educazione alla responsabilità” (IL, n. 38), per un “nuovo umanesimo che abbracci anche la cura della casa comune” (IL, n. 17), coinvolgendo i molti soggetti impegnati nella sfida educativa. C’è innanzitutto da ripensare profondamente l’antropologia, superando forme di antropocentrismo esclusivo e autoreferenziale, per riscoprire quel senso di interconnessione che trova espressione nell’ecologia integrale, in cui sono unite l’ecologia umana con l’ecologia ambientale. Don Primo Mazzolari, maestro di spiritualità e di impegno sociale della Chiesa del Novecento, scriveva così nel 1945: “Forse tante nostre infelicità derivano da questo mancato accordo con la natura, come se noi non fossimo partecipi di essa. Tutto si tiene, ed accettare di vivere in comunione non è una diminuzione, ma una pienezza” (Diario di una primavera).
Occorre, al contempo, promuovere “una società resiliente e sostenibile dove creazione di valore economico e creazione di lavoro siano perseguite attraverso politiche e strategie attente all’esposizione a rischi ambientali e sanitari” (IL, n. 26). Questi passaggi complessi esigono di essere realizzati con attenzione per evitare di penalizzare – specie sul piano lavorativo – i soggetti che rischiano di subire più direttamente il cambiamento: la “transizione ecologica” deve essere, allo stesso tempo, una “transizione giusta”. Fondamentali in tal senso sono la conoscenza e la diffusione di quelle buone pratiche che aprono la via a una “resilienza trasformativa” (IL, n. 39).
Ricercare assieme
Il cambiamento si attiva solo se sappiamo costruirlo nella speranza, se sappiamo ricercarlo assieme: “Insieme è la parola chiave per costruire il futuro: è il noi che supera l’io per comprenderlo senza abbatterlo, è il patto tra le generazioni che viene ricostruito, è il bene comune che torna a essere realtà e non proclama, azione e non solo pensiero” (IL, n. 29). Il bene comune diventa bene comune globale perché abbraccia anche la cura della casa comune. Occorre un discernimento attento per cercare assieme come realizzarlo, in uno stile sinodale che valorizzi a un tempo competenza e partecipazione, che sappia essere attento alle nuove generazioni. Si apra al futuro.
Il cammino verso la Settimana Sociale di Taranto sia accolto da tutta la Chiesa che è in Italia, perché si rafforzi il suo impegno educativo a far diventare la Laudato si’ la bussola di un servizio alla società e al Paese.
È importante, allo stesso tempo, mantenere viva quell’attenzione ecumenica che ha guidato le Chiese nell’imparare ad ascoltare assieme “il grido della terra e il grido dei poveri”, secondo l’indicazione di Laudato si’ (cfr n. 49). Trent’anni fa, nel 1991, si teneva a Canberra l’Assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese nel segno dell’invocazione: “Vieni Spirito Santo: rinnova tutta la creazione”. Facciamo nostra tale preghiera, che già vent’anni fa sollecitò la Conferenza delle Chiese europee (Kek) e il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) a firmare congiuntamente la Charta Oecumenica con l’impegno di istituire una Giornata ecumenica dedicata al Creato. Oggi sentiamo la necessità di rafforzare la natura ecumenica di questa Giornata del 1° settembre. Il sostegno delle Chiese e delle Comunità cristiane ai processi avviati aiuti e favorisca nel dialogo le vie della transizione e del rinnovamento. Sarà un’ulteriore ed eloquente prova della fraternità universale a cui tutti sono chiamati a dare testimonianza.
(Fonte Avvenire)