• 27 Aprile 2024 9:31

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

Quando l’Onu ne ha approvato l’istituzione, undici anni fa, con la Giornata Internazionale della Carità intendeva promuovere “il dialogo tra persone di culture e religioni diverse, la solidarietà e la comprensione reciproca”. E voleva anche riconoscere il ruolo della carità “nell’alleviare le crisi umanitarie e le sofferenze umane all’interno e tra le Nazioni”. Scegliendo come data l’anniversario della morte di Santa Teresa di Calcutta, il 5 settembre 1997, indicava nella piccola apostola degli ultimi un riferimento di carità per il suo servizio gratuito per i malati, i senza tetto, i “più poveri tra i poveri”. Lei definiva la carità il dovere di “dare servizio immediato ed effettivo ai poveri: dando da mangiare agli affamati, non solo cibo ma anche la Parola di Dio. Dando da bere agli assetati: non solo di acqua, ma anche di conoscenza, di pace, di verità, di giustizia e di amore. Vestendo gli ignudi: non solo con abiti, ma anche di dignità umana. Dando alloggio ai senza tetto: non solo un rifugio fatto di mattoni, ma un cuore che comprende, che protegge, che ama…”.

Don Sacco: la carità non sia un “cerottino” su strutture diaboliche

Una carità quindi che non si limita all’elemosina, pur importante, come ci ricorda don Renato Sacco, consigliere nazionale di Pax Christi, ma vede nel povero colui che ha diritto alla piena dignità umana, che chiede una vita felice, che mantiene sempre delle capacità, anche se residue, per riprendere in mano la sua vita. Questa Giornata è un richiamo a non accontentarsi di un soccorso, di un “cerottino”, ci dice don Sacco, ma ad assumere il proprio pezzo di responsabilità per cambiare, non solo la situazione della singola persona che aiutano, ma le condizioni che l’hanno portata a chiedere aiuto e perché coloro che si troveranno nelle stesse situazioni, anche in futuro, non si trovino in difficoltà. La carità è gratuità e cura della persona, azione politica di pace e di giustizia, dono di sé e amore universale. Ne parliamo con don Renato, 68enne sacerdote novarese, già coordinatore nazionale di Pax Christi, tra i primi preti obiettori alle spese militari, che nel dicembre 1992 ha partecipato alla marcia della pace a Sarajevo con don Tonino Bello e monsignor Luigi Bettazzi, ed è stato molte volte in Iraq, per sostenere la missione del patriarca Sako.

Nell’istituire questa giornata, undici anni fa, l’Onu ha riconosciuto il ruolo della carità nell’alleviare le crisi umanitarie e le sofferenze umane all’interno e tra le nazioni. Una giusta considerazione che però ancora attende di essere davvero attuata…

Sì, è sicuramente è una cosa importante perché ci invita alla solidarietà, alla condivisione, a vedere chi sta male, in un mondo dove sembra che dobbiamo essere attenti solo ai ricchi, ai forti e ai potenti. E gli ultimi, gli ultimi in classifica, non fanno notizia. Certo che però lo è un invito da vivere bene, rendendoci conto che la carità non può essere solo l’elemosina, anche quella ovviamente, ma non solo il supplire o quasi a tamponare delle situazioni tragiche, anche strutturali. Penso alla fame nel mondo che ha delle cause specifiche. Le risorse per tutti ci sarebbero, dovremmo non sprecarle, non fare in modo che alcuni abbiano enormi ricchezze ed enormi possibilità di usare risorse, altri non le abbiano. Credo che tra le cause della povertà nel mondo indubbiamente ci siano anche le guerre, perché la guerra è una delle fabbriche più efficiente di poveri, di distruzione, di morte. Allora non possiamo limitarci a un invito che rischia di diventare utile a una logica perversa. Non si può dire: va bene, noi andiamo avanti pensando ai ricchi e ai potenti, e qualcuno faccia la carità… Già Paolo VI aveva definito la politica l’espressione maggiore della carità. E allora dobbiamo richiamare a scelte politiche. Se si investe nella guerra e nelle armi, in Italia e nel mondo, non si risolve la povertà, ma si fa crescere: nel mondo nel 2022 sono stati spesi circa 2200 miliardi di euro per le armi. Quanto aiuto si potrebbe dare a queste persone!

La denuncia dei soldi spesi nelle armi è un tema molto caro a Papa Francesco…

E lo dice bene nell’Enciclica Fratelli tutti al numero 262, dove denuncia le guerre e poi propone: “Con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari, costituiamo un fondo mondiale per eliminare finalmente la fame e per lo sviluppo dei Paesi più poveri”. Quindi è un problema di giustizia, di togliere soldi alle armi: pensiamo che l’Italia spende circa 40 mila euro al minuto per le armi. Vicino a me, a Cameri, vengono assemblati gli F35, i cacciabombardieri che hanno anche in dotazione armi nucleari, ognuno costa 130 milioni di euro. Il casco di ogni pilota costa più di 500 mila euro. Abbiamo investito 4 miliardi per comprare nuovi carri armati. Ci sono sommergibili da 670 milioni l’uno, e l’Italia ne vuole comprare tre. Sono scelte di questi ultimi mesi. La domanda è: vogliamo aiutare le persone o vogliamo aiutare le lobby militari? Il Papa lo denuncia: ci sono grossi interessi sulle armi e sulla guerra. È chiaro che questo fa sì che i poveri diventano sempre più poveri. Lo diceva Paolo VI nella Populorum progressio, nel 1967, “I popoli poveri diventano sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi”. E per difendere la loro ricchezza hanno bisogno di essere sempre più armati. Quindi è un circuito perverso. La memoria di Santa Madre Teresa di Calcutta e la giornata dell’Onu deve toccare la nostra coscienza, perché o ci mettiamo in discussione o altrimenti lasciamo che la carità risulti come un cerottino quasi insignificante sopra strutture diaboliche di ingiustizia, di guerra e di corsa alle armi.

Quindi serve una “carità politica” attenta alla tutela della dignità dell’uomo in ogni situazione, attenta non solo all’economia, ma anche all’istruzione, al lavoro, alla casa, ai trasporti per tutti?

Certo, questo non toglie che poi il cristiano deve fare il passo ulteriore. “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli” dice Gesù. Il cristiano è quello che deve dare la vita, deve mettersi in gioco. Quindi il Vangelo va molto oltre. Ma la base, e lo dico pensando all’Onu, è quella di una impostazione politica in senso generale, dove il valore della vita delle persone è fondamentale, quindi l’accesso all’acqua, all’istruzione, la scuola, la sanità. La povertà si combatte dando queste opportunità. E questo vale per l’Italia: vediamo le grandi sofferenze, l’assurdità dei tagli alla sanità, la fatica a curarsi degli italiani sempre più dirottati verso il privato. Ma vale anche per il mondo intero. La povertà si combatte dando dignità alle persone. Se l’economia va in un’altra direzione, e la politica si fa formare da questa economia perversa, avremo grandi squilibri e avremo sempre più poveri che busseranno alla nostra porta, alla “Fortezza Europa”. Ma lo fanno per ché chiedono giustizia e restituzione di quello che per anni gli abbiamo rubato.

Quindi un gesto di carità è anche, ad esempio, fare una marcia della pace, come avete fatto più di trent’anni fa a Sarajevo con don Tonino Bello?

Sì, credo che la carità si declini in tanti modi. Don Tonino Bello diceva che la pace più che un vocabolo è un vocabolario. E allora è carità anche andare, come abbiamo fatto noi con Stop The War Now, ad Odessa, andare a Sarajevo, portare degli aiuti, certamente, ma anche a dire: “Noi vi vogliamo essere vicini perché non vogliamo finanziare la guerra, vogliamo la pace”. Lavorare per la pace vuol dire proprio lavorare per la carità, per la dignità delle persone, perché la guerra la cancella, e ne cancella radicalmente la vita. Il 7 ottobre ci sarà una grande manifestazione per la pace a Roma. Anche quella credo sia una grande espressione di carità, così come il non collaborare con istituti bancari che investono nelle armi, con le industrie che le fabbricano. O adesso che iniziano le scuole, con la propaganda militare che coinvolge anche le scuole. Tanti aspetti di un’unica testimonianza di pace, di carità e di giustizia.

(fonte vaticannews.va)