Il Babà, come farlo, le curiosità e la storia

Quel che passa il Convento a cura di Francesco Di Bella

Oggi martedì grasso prima del digiuno indetto dal Papa per invocare la Pace in Ucraina, vogliamo proporre il Babà. Tutti pensiamo che sia nato all’ombra del Vesuvio, ma è veramente così? Qual è la vera storia? perchè il rum? con quale vino lo si accompagna? Leggi e lo scoprirai.

Buona lettura e buon appetito

Ingredienti:

 Per la biga:

Per il secondo impasto:

 Farina di tipo “00” ( 320), Uova (n. 4), Burro pomata (g. 160), Panna (dl 0,8), Sale (g. 6).

 Per la bagna:

baba-2-300x225 Il Babà, come farlo, le curiosità e la storiaMetodo di preparazione:

Preparare la biga (prelievito), impastando il lievito di birra con il latte e la farina. Lasciare lievitare a circa 28°C finche’ l’impasto non raddoppia di volume.

Nel frattempo, preparare la bagna facendo bollire l’acqua con lo zucchero e la buccia di un limone e arancia. Far raffreddare e aggiungere Rhum a piacere.

Quando il lievito è pronto, travasarlo in una planetaria con gancio, aggiungervi la farina del secondo impasto, le uova, la panna, il burro, lo zucchero e un pizzico di sale. Lavorare per circa 15 minuti. L’impasto sarà pronto quando diventerà molto elastico, lucido e omogeneo.

Mettere l’impasto negli stampini da Babà leggermente imburrati e infarinati. Lasciarlo lievitare sempre a 28 °C almeno fino al raddoppio del volume iniziale.

Trascorso il tempo di lievitazione, infornare a 180°C per una ventina di minuti. Saranno cotti quando assumeranno un bel colore dorato e uniforme.

Sfornare i Babà e immergerli nella bagna precedentemente preparata.

 Punti Critici:

Non far venire a contatto diretto il lievito con il sale, altrimenti si compromette il buon esito dell’impasto. Aggiungere le uova all’impasto una alla volta in modo da farle assorbire bene. Se se ne ravvisa la necessità, invece che quattro se ne possono mettere tre intere e un tuorlo. Dipende dalla farina.

 Varianti:

 Le dosi del lievito possono essere ridotte, ma ciò comporta un aumento del tempo di lievitazione. Per rendere i Babà più light, il latte e la panna nell’impasto possono essere sostituiti con l’acqua. Versando lo stesso impasto dei Babà in uno stampino con un buco al centro, si ottiene il Savarin, un dolce classico della pasticceria francese a forma di ciambella.

 Abbinamento cibo-vino:

 Si consiglia di abbinare Lacryma Christi del Vesuvio o in alternativa un vino liquoroso.

 Curiosità:

“Il Lacryma Christi è il vino prodotto con le uve autoctone del Vesuvio, conosciuto già ai tempi degli antichi Romani. Le prime testimonianze della coltivazione dell’uva sul Vesuvio risalgono, infatti, al V secolo a.C. I vitigni che si arrampicano sulle falde del Vesuvio discendono direttamente dagli Aminei della Tessaglia, portati qui dai Greci che nel V secolo a.C. arrivarono in queste terre. Le radici affondano nel terreno lavico, scuro e poroso. Questo terreno non necessita di essere innaffiato in quanto trattiene l’umidità per poi rilasciarla.

Tra storia e leggenda. Il nome Lacryma Christi affonda le sue radici in leggende antiche. La più diffusa è quella che vuole che Lucifero, nella sua discesa agli inferi, abbia portato via con sè un pezzo di Paradiso. Gesù, riconoscendo nel Golfo di Napoli il Paradiso rubato, pianse lacrime copiose e dalle sue lacrime nacquero i vigneti del Lacryma Christi.

Secondo le testimonianze storiche la tradizione enologica del Vesuvio ha origine secoli prima di Cristo. Secondo Aristotele, infatti, i Tessali, antico popolo della Magna Grecia, impiantarono le prime viti sul Vesuviano nel V secolo a.C.

Cinque secoli più avanti Marziale scrisse: “Bacco amò queste colline più delle native colline di Nisa”.

Dopo l’avvento del Cristianesimo i monaci che qui vivevano nella “torre” continuarono la coltivazione del vino “greco”: il vino che grazie all’opera di contadini ha dato il nome alla città di Torre del Greco”. (La Cantina del Vesuvio)

La storia del Babà

“Il Babà non fu inventato né all’ombra del Vesuvio, né a Posillipo. La sua storia, raccontata nel libro di Flavia Amabile Si nu’ babbà (Edizioni dell’Ippogrifo) parte da Luneville, in Lorena. Siamo nel Nord della Francia, non lontano dal confine con la Germania e con il Belgio. Nel Settecento, nella cittadina risiedeva Stanislao Leszczinski, re polacco in esilio, due volte detronizzato durante le guerre tra le potenze europee per accaparrarsi di quella gloriosa e instabile “monarchia elettiva”.  Si dice che il sovrano, un giorno, bagnò con del madeira una fetta di kugelhopf, probabilmente per prolungarne la morbidezza nei giorni successivi alla sua preparazione (il kugelhopf era un dolce austriaco molto famoso a quell’epoca, che ha dato ai natali anche ad altri dolci italiani come l’anello di Monaco mantovano e che probabilmente ha influenzato anche il più giovane pandoro di Verona). E poiché Leszczinski, noto per il suo amore per l’arte e il suo carattere mite che gli fruttarono sempre l’amore del popolo, era anche un grande appassionato di gastronomia, su suo impulso, il kugelhopf “ubriaco” da lui coniato venne migliorato con ben tre lievitazioni. E poi vi furono aggiunti uva passacanditi e addirittura dello zafferano, che l’ex sovrano polacco aveva conosciuto durante la sua prigionia a Istanbul e la sua permanenza in Bessarabia (l’odierna Moldavia o Moldova), allora parte dell’Impero Ottomano. Un dolce “illuminista”, dunque, di chi si sentiva “cittadino del mondo”. Ma siamo ancora lontano, molto lontano dunque dalla Napoli borbonica dei lazzari e dei sanfedisti.

L’incontro col rum

Di strada, il babà, dovrà ancora farne molta. Perché da Luneville il babà sbarcherà a Versailles: la figlia di Stanislao, Maria Leszczyńska, aveva infatti sposato il re di Francia Luigi XV, e si era portata dietro il pasticciere del padre, il polacco Nicolas Stohrer. Negli anni ’30 del XVIII secolo  a corte impazzava la moda del rum giamaicano, che presto sostituì il madeira nel babà. La modifica ebbe un grande successo, ma il buon Stanislao, forse, non la gradì molto. Qualche anno dopo, ultraottantenne, ne parlerà addirittura con Voltaire: “Ho diviso i giorni in ore e le ho riempite di emozioni, di cose degne di memoria, di cose fatte, ma anche di cose solo immaginate. Questo lasciamo di noi; anche l’Alì Babà. Non è cosa degna di un Re? Lasciamo questi pensieri ai cortigiani e agli intolleranti; a chi pensa di dedicare la vita alla carriera, a chi se l’accorcia al servizio di cose che credono di dominare e di cui sono solo le dileggiate e luccicanti vittime. A me invece ricorderà la luna turca della notte di Costantinopoli, mi porterà il sapore dell’amicizia con il Re di Svezia, e i canditi riproporranno l’eleganza e la preziosità dei vostri ragionamenti […] Lo scorso mese mi hanno presentato un Babà, così lo chiamano ora, talmente inzuppato di liquore che gli ho dato fuoco. Perde di leggerezza e di memoria”.

A Parigi

Fatto sta che a Parigi, intanto, il babà perderà lo zafferano e i canditi, per acquistare invece l’odierna forma a fungo con “turzo” e “capocchia”: fu lo stesso pasticciere Sthorer a dargliela, che intanto aveva aperto una pasticceria al numero 52 di rue Montorgueil, ancora oggi allo stesso indirizzo. Nell’Ottocento, invece, a Parigi nascerà un altro babà, quello a forma di ciambella, inventato da Jean Anthelme Brillat-Savarin, senza uvetta, ma con il burro e una spennellata di marmellata di albicocche.

Alla corte dei Borboni

E Napoli? Quando arriva Napoli? Ora ci arriviamo. Perché il successore di Luigi XV è Luigi XVI, lo sfortunato e debole re ghigliottinato durante la Rivoluzione. La sua consorte, Maria Antonietta, aveva una sorella prediletta: Maria Carolina d’Austria, moglie del vulcanico re di Napoli Ferdinando IV di Borbone. La regina portò nella Napoli di fine ‘700 gattò, besciamella, gratin e sciù, e di certo la moda continuò sotto il regno di Gioacchino Murat. Già nel 1836 il babà appare come dolce tipico napoletano nel primo manuale di cucina italiana scritto da Vincenzo Agnoletti per un’altra sovrana “francese” in terra italiana, Maria Luigia di Parma. Non a caso, in quegli anni, fu proprio l’Agnoletti ad inventare a Parma un altro celebre dolce italiano, che inizialmente prevedeva il rum: la zuppa inglese. A fine ‘800, il babà diventerà il borghese dolce da passeggio della Napoli bene. Uno street food di classe giunto intatto fino a noi. Un destino impensabile e che, di sicuro sarebbe piaciuto al re filosofo che lo inventò”. (La cucina italiana)

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