Commento a cura di Suor Cristiana Scandura
San Carlo Borromeo
Letture: Rm 12,5-16 Sal 130 Lc 14,15-24
“Uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi” (Lc 14,18).
L’invito non solo incontra qualche resistenza ma riceve il più assoluto rifiuto, anche se ammantato di ragionevoli motivazioni e manifestato nella forma della buona educazione. A prima vista il padrone non giudica quelli che rifiutano, si limita a dire ai servi di cercare altri invitati tra le persone più emarginate. E tuttavia, ad una lettura più attenta, c’è un verbo che descrive assai bene la sua reazione: “Allora il padrone di casa, adirato…” (Lc 14,21). Non c’è solo un giustificato rammarico, ma il verbo usato indica una persona fortemente irritata, in preda all’ira.

Può sembrare eccessivo, in realtà è la logica conseguenza di chi cerca il bene dell’altro. La collera di Dio non è l’espressione della rabbia o del risentimento ma nasce dall’amore, chi rifiuta l’invito perde l’appuntamento con la grazia. Chi non ama segue gli eventi con placida indifferenza. Chi ama soffre. I santi hanno compreso il dolore che Dio prova dinanzi al rifiuto dell’uomo. “L’amore non è amato”, diceva san Francesco piangendo.
La parabola ha un’amara conclusione: “Nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena” (Lc 14,24). Queste parole contengono un chiaro ammonimento. Chi non partecipa alla festa non può mangiare il pane di Dio, cioè non vive quella pienezza che Lui vuole donare. Questa parabola invita a custodire una sana vigilanza. Non basta rispondere alla chiamata a partecipare al banchetto di Dio. Tanti si incamminano con sincerità ma lungo il cammino perdono lo slancio e accettano la mediocrità. Non rinnegano il sì iniziale ma non vivono più con determinazione la fede, non si lasciano più guidare dal Vangelo e, di conseguenza, non sono più capaci di fare tutto il bene che il Padre aveva loro affidato.
Pur consapevoli delle nostre mancanze, oggi chiediamo la grazia di rispondere agli appelli di Dio.
