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Liberamente tratto

di Fra Girolamo Palminteri – L’aria frizzante di un inverno ancora agli inizi già faceva sentire tutto il suo rigore. Quel mattino il cielo era limpido e noi due passeggiavamo sotto i portici del tempio, indisturbati, nonostante il sagrato era un pullulare di gente. La Menorah era stata accesa e maestosa era lì ad indicare la tua fedeltà che ancora una volta non era venuta meno. E oggi come allora. Chissà perché, ma sentivo che c’era un legame tra quella luce di cera e le tue parole. Non erano come quelle degli altri rabbi. Andavano a pescare negli abissi più profondi del mio cuore e la luce che ne derivava non era invadente, giudicante, sprezzante. No! Era un fuoco che riscalda mentre illumina ed illumina mentre riscalda. Era bello camminare accanto, chiacchierare con te. Noi due, solo noi due, e tutti gli altri un mondo che correva chissà dove.
Ma ti videro e ci fecero cerchia. Io mi misi un po’ da parte e loro, subito: “Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Sei tu il Cristo, dillo a noi apertamente”.
Avrei voluto prendere la parola, fare la mia confessione. Mi hai guardato, quasi a dire: “Non serve”. Hai ragione. Era successo anche a me. La prima volta che sentii parlare di te, mi opposi subito a quello che si diceva: “Dai, non siamo ingenui. Gesù lo conosciamo tutti. Figlio di Giuseppe il falegname e di Maria. Fino a qualche giorno fa lavorava nella bottega con suo padre ed oggi fa il profeta. Smettiamola!”. Poi mi capitò una volta, mentre ero al mercato, ti vidi. C’era ressa attorno a te. Ti avevano condotto Micol che adesso era lì, a terra, sporca di polvere ma soprattutto dei giudizi di quegli occhi infami. Mi si strinse il cuore. Ero stato anch’io con lei e i suoi occhi non li avevo dimenticati. Adesso erano chiusi.
“Che sia lapidata!”, gridavano. “E’ una vergogna per il nostro villaggio!”. Tra coloro che gridavano riconobbi Simone e Cabel. Che infami. Proprio qualche giorno prima li avevo visti che uscivano dalla casa di Micol e di certo non erano andati per una visita di cortesia. E tu, allora come adesso, con una calma che mi sorprese, non cominciasti ad addurre ragioni, a fare il processo. No! Nessun processo. Solo la verità, la stessa che fino a qualche momento fa, mentre passeggiavamo, stava visitando le mie tenebre, diradandole, senza forza, senza violenza. “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. E poi: “Donna, neanch’io ti condanno. Va e non peccare più!”.
Tornai a casa. Ero come in tranche. Quella notte non dormii. E neanche la seguente. Come faceva questo Gesù a parlare in questo modo? C’era in lui qualcosa di insolito. Non avevo pace. Fu così che decisi di andare a trovarlo, di nascosto però. Avevo sputato troppe sentenze su di lui e non volevo essere scoperto dai miei amici. Mi alzai che ancora era buio ed arrivai al tempio alle prime luci dell’alba. Ti trovai lì. Eri seduto in un angolo. Alzasti lo sguardo. Non lo dimenticherò mai. Ed una sola parola come la prima nota di una melodia diede inizio alla sinfonia: “Ti stavo aspettando”.
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