• 29 Aprile 2024 21:00

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Omicidio a Raffadali: orrore e confessione del padre poliziotto

“Per favore, consegnate il mio distintivo e la mia pistola al Questore. So di aver commesso un atto di enorme disvalore che non mi perdonerò mai. Ho ucciso mio figlio.” Gaetano Rampello, 57enne assistente capo della Polizia di Stato di Raffadali, ha appena ucciso il figlio ventiquattrenne – Gabriele Rampello – scaricandogli addosso l’intero caricatore della pistola di ordinanza. Poi si è adagiato su una panchina alla fermata dell’autobus, poco distante dal cadavere del giovane, e ha atteso lucidamente l’arrivo dei carabinieri che aveva chiamato.

Il poliziotto viene svegliato nel cuore della notte da una telefonata del figlio: “Uomo di merda mi devi fare la ricarica, subito. 50 euro”. I due si danno appuntamento per l’indomani quando Rampello, libero dal servizio, prende il bus da Catania e ritorna a Raffadali dove ha appuntamento con il figlio in piazza Progresso. Ed è lì che si incontrano intorno le undici e mezzo del giorno seguente e ne nasce subito un litigio. Il padre porge trenta euro al ragazzo che reagisce male afferrando il portafoglio togliendogli gli ultimi quindici euro custoditi nel borsello. La miccia che fa esplodere la furia omicida del poliziotto. Comincia a sparare senza fermarsi poi rimette con cura l’arma nella fondina e chiama il 112.

Rampello è un fiume in piena e racconta al sostituto procuratore Chiara Bisso la difficile evoluzione del rapporto con il figlio spesso violento anche nei confronti della madre. Una vita, quella di Gabriele, caratterizzata secondo la narrazione del padre da eccessi, cattive amicizie, abusi e violenze.

Un profondo malessere, come ha sottolineato il procuratore di Agrigento Lugi Patronaggio, acuiti dal grave isolamento provocato dalla pandemia e non adeguatamente contenuti da un sistema socio-sanitario-assistenziale non sempre pronto ad erogare idonei servizi alla collettività.”

(Fonte LiveSicilia – Foto Today)