Commento di Fra Marcello Buscemi e Suor Cristiana Scandura
Sant’Agata Vergine e Martire
Vangelo: Lc 9,23-26
Riflessione biblica
“Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà” (Lc 9,23-26). Non siamo dinanzi ad un programma di autoannichilimento delle nostre potenzialità personali, ma di fronte ad un audace avventura di amore che ci permette di confrontarci con Gesù in maniera sempre nuova, sempre originale, sempre creativa di nuovi spazi di incontro con lui all’interno della vita quotidiana. Ogni occasione diviene “grazia”, cioè dono reciproco tra Gesù e i suoi discepoli. Gesù non è solo un modello da imitare e l’imitazione mai un ricalcare materiale e meccanico di “ciò che Gesù fece e disse”, ma egli, per il discepolo che lo segue nella fede, è la vita stessa: “il mio vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21), e l’imitazione questo continuo pulsare della vita divina in noi: “Cristo vive in me”, che ci rende capaci di infondere in ogni realtà e in ogni avvenimento il divino slancio dell’amore che tutto libera, trasforma ed eleva. Lo comprese S. Agata, che ha seguito Gesù e ha stabilito un rapporto personale e testimoniale con lui. Non ha avuto paura della propria fragilità, ben sapendo che “portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale” (2Cor 4,10-11). Come S. Agata, innamoriamoci di Gesù e così con lei potremo dire: “Signore Gesù Cristo, Maestro buono, grazie a te ho vinto ogni tortura: che io giunga alla tua gloria immortale” (liturgia)
Lettura esistenziale
“Se qualcuno vuole venire dietro a me, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23). La sofferenza accompagna fedelmente il viaggio della vita, è impossibile attraversare i giorni terreni senza incontrarla in tutte le sue varie sfumature. È legittimo chiedere di essere liberati da questa poco desiderata ospite. In effetti, la sofferenza tende a schiacciare ogni energia di bene e contrasta con il benessere che ognuno desidera. E tuttavia, stando all’insegnamento evangelico, la croce fa parte della sequela, anzi è la via più sicura per partecipare alla storia salvifica. In questa prospettiva, radicalmente diversa da quella del mondo, la sofferenza non è una disgrazia ma una grazia, non è un bene in sé ma può diventare uno strumento di bene, non appartiene ai desideri del cuore ma può aiutarci a cercare un bene ancora più grande. Non dobbiamo chiedere di allontanare la sofferenza ma di avere la grazia di viverla come un’occasione di santificazione. Il Vangelo ci ad attraversare i sentieri più oscuri senza smarrire la speranza di arrivare alla terra promessa. La forza della Parola di Dio e la testimonianza dei santi ci assicura che possiamo camminare per questa via. Teresa di Lisieux ha ricevuto la grazia, senza dubbio straordinaria, di comprendere fin dalla fanciullezza il valore della sofferenza, scrive infatti: “Il giorno dopo la Comunione, mi tornarono in mente le parole di Maria; mi sentii in cuore un grande desiderio della sofferenza e nello stesso tempo ebbi l’intima certezza che Gesù mi riservava un gran numero di croci, mi sentii inondata di consolazioni così grandi che le considero come una delle grazie più grandi della mia vita” (Ms A 36r). Queste parole infondono fiducia e coraggio.