• 7 Ottobre 2024 6:28

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Porto Empedocle, nuovo Centro di detenzione per immigrati (ne avevamo proprio di bisogno)

di Francesco Polizzotti

Il 6 novembre 2023 il governo italiano ha firmato un accordo con l’Albania per la costruzione di due centri di detenzione in territorio albanese, da utilizzare per trattenere le persone intercettate o soccorse in mare dalle navi di stato italiane. L’accordo mira a legalizzare il trattamento extraterritoriale e la detenzione dei richiedenti asilo e delle persone da rimpatriare forzatamente, con l’obiettivo dichiarato di scoraggiare le traversate in mare. I ritardi nei lavori dei centri in Albania hanno richiesto in tempi rapidi la realizzazione del nuovo CPR. Qui verrà recluso chi proviene dai cosiddetti “paesi sicuri”. Il decreto del 7 maggio 2024 ha confermato tutti i Paesi già presenti nel precedente, aggiungendone altri sei: Bangladesh, Camerun, Colombia, Egitto, Perù e Sri Lanka. L’Italia risulta di fatto essere tra gli Stati membri dell’Unione europea con il più alto numero di Paesi d’origine considerati sicuri. Come documentato dall’ASGI, l’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, “osservando i recenti dati, sembrerebbe che il Governo abbia classificato come “sicuri” i Paesi da cui provengono più richiedenti asilo, basandosi principalmente, se non esclusivamente, sull’incremento delle domande di asilo nell’ultimo anno. Al contrario, pare che non si sia tenuto in alcun conto di comprovate situazioni di instabilità e/o di violazione dei diritti umani tanto nei nuovi Paesi aggiunti, quanto in quelli che erano già presenti all’interno dell’elenco (su tutti la conferma della Tunisia) che avrebbero comportato la necessità di escludere alcuni stati dall’elenco”. Come già avvenuto nel 2019 e nel 2023, anche in questa occasione, scrive l’Associazione, le valutazioni che hanno condotto alla designazione (e alla conferma) dei Paesi di origine in esso inseriti non sono state allegate al decreto e non sono state rese pubbliche, confermando che sulla gestione immigrazione ogni governo pone restrizione sugli atti.

La nuova struttura di detenzione amministrativa di Porto Empedocle (Agrigento), che va a sommarsi all’hotspot precedente (da 280 posti) entrato in funzione a fine del gennaio scorso e costato circa tre milioni di euro, è pronta. Nessuno sembra se ne stia accorgendo e l’indifferenza come ci ricorda Papa Francesco è una malattia della democrazia.

Il centro servirà anche per i rimpatri accelerati e avrà 70 posti. Il poco preavviso ha imposto il rientro anticipato dalle ferie di alcuni giudici della sezione. La struttura è stata decisa dal Ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, a fine luglio proprio mentre si registravano i primi ritardi nella costruzione dei due centri in Albania. La gestione è stata affidata con procedure d’urgenza, mentre la competenza per le convalide è passata al tribunale di Palermo, quest’ultimo avrà voce in capitolo in questa operazione ferragostana.

Di recente, nel luglio 2024, Amnesty International ha documentato gravi violazioni dei diritti nei centri di detenzione amministrativa in Italia. È altamente improbabile che le stesse autorità possano garantire il rispetto delle garanzie procedurali e l’accesso ai diritti in Albania, mentre si configura il rischio concreto che le criticità evidenziate nel sistema italiano di detenzione amministrativa si ripetano anche nei centri di trattenimento in territorio albanese. Organi internazionali, come il Consiglio d’Europa e l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, hanno a loro volta criticato l’accordo Italia-Albania.

Il nuovo centro sorgerà nella contrada Caos, quella di Pirandello e porta con se quei paradossi propri dell’azione di questo governo in tema di accoglienza degli immigrati. L’8 agosto scorso – scrive il Domani – presso i locali della prefettura di Agrigento “si è riunita la commissione di gara per assegnare la gestione dell’area destinata ai trattenimenti, ovvero alla detenzione durante l’iter per l’asilo dei richiedenti che provengono dai paesi considerati «sicuri» dal governo Meloni (Tunisia, Egitto, Bangladesh, etc.). Trovare un soggetto privato, era necessario perché la Croce rossa italiana gestisce l’hotspot adiacente ma non vuole saperne di reclusione”.

L’accordo Albania-Italia ha visto da subito molte realtà ecclesiali e dell’associazionismo levare gli scudi. Il duro commento di mons.  Gian Carlo Perego, presidente della Commissione Episcopale per le migrazioni e della Fondazione Migrantes dopo l’approvazione dell’accordo in Senato: “Oggi il Senato ha approvato l’accordo Albania-Italia per il trattenimento di migranti che la Guardia costiera salverà in mare. Seicentosettantantatre milioni di euro in dieci anni in fumo per l’incapacità di costruire un sistema di accoglienza diffusa del nostro Paese, al 16° posto in Europa nell’accoglienza dei richiedenti asilo rispetto al numero degli abitanti. Seicentosettantatre milioni di euro che potevano rigenerare non solo la vita di molte persone (3.000), ma la vita anche delle nostre comunità. Seicentosettantatre milioni di euro che avrebbero significato posti di lavoro e un indotto economico. Seicentosettantatre milioni di euro veramente ‘buttati in mare’ per l’incapacità di governare un fenomeno – quello delle migrazioni forzate – che si finge di bloccare, ma che cresce di anno in anno, anche per politiche economiche che non favoriscono – se non con le briciole – lo sviluppo dei Paesi al di là del Mediterraneo. Seicentosettantatre milioni spesi anche perché guardiamo maggiormente a vendere armi – le spese per gli armamenti sono aumentate del 3,7% rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 2240 miliardi di dollari, il livello più alto mai registrato (SIPRI) – e a finanziare conflitti – sono 56 gli Stati che nel 2022 si trovavano in situazioni di conflitto armato, 5 in più dell’anno precedente (SIPRI)-, piuttosto che a costruire pace. Uno spreco di risorse pubbliche. Un nuovo atto di non governo delle migrazioni, di non tutela degli ultimi della terra. Una nuova sconfitta della democrazia”.

A fare da eco alla Fondazione Migrantes, Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli: “Si preferisce una soluzione che è indice dell’incapacità di affrontare quella che non è più da tempo un’emergenza, ma un fenomeno strutturale da governare senza demagogie né isterismi”, così come Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli: “L’accordo è l’ennesimo tentativo in corso da anni in molti Stati europei di non fare arrivare le persone sul suolo europeo, o di spostarle in un altro Paese per la valutazione della domanda di asilo. Tutto questo, non solo è uno spreco di risorse, ma ma anche l’ennesima spallata per demolire il diritto di asilo”.