• 13 Ottobre 2024 2:51

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

Sant’Alberto da Trapani, Sacerdote Carmelitano

Sant’Alberto nacque a Trapani nel 1240 circa, da Benedetto Abate e Giovanna Palizzi, nell’attuale via Andrea Carreca, in pieno centro storico cittadino, ove sorgeva (come testimoniano vari pubblici documenti) il palazzo di famiglia. Ancora quel luogo prende il nome di “Cortile di Sant’Alberto”.
Venne alla luce dopo 26 anni di matrimonio sterile, implorato dal cielo con preghiere, digiuni ed elemosine dai suoi genitori i quali, tramite un voto fatto alla Vergine, promisero di consacrarlo al Signore nell’Ordine del Carmelo.
Siamo al tempo di San Domenico di Guzmàn († 1221), San Francesco d’Assisi († 1226), San Luigi IX, re di Francia († 1270), S. Margherita da Cortona († 1297), S. Filippo Benizi († 1285), S. Chiara di Montefalco († 1308), Innocenzo III († 1216) e dell’imperatore svevo, Federico II († 1250), in continua lotta contro la Chiesa. Egli fu il discendente della potente famiglia degli Abate (oppure mantenendo l’assonanza latina e conservando la doppia “BB” latina de Abbatibus “degli Abbati”) arrivata dalla Toscana in Sicilia nel 1229 con Enrico, tesoriere dell’imperatore Federico II di Svevia, e il fratello Benedetto (padre di Sant’Alberto), ammiraglio del versante occidentale – dal canale di Sicilia fino al limitare del Tirreno Meridionale – e di Gilberto († 1269), governatore di Malta nel 1230. Da Palermo i membri della famiglia si erano presto diramati a Messina, Catania e Trapani, ricoprendo cariche importanti quali capitano giustiziere, senatore, cavaliere gerosolimitano. I parenti del Santo furono parte attiva nella lotta per la successione al trono di Sicilia. Tra tutti spiccano Palmerio († 1300), figlio dello zio Gilberto, che, insieme a Giovanni da Procida († 1298), Alaimo da Lentini († 1287) e Gualtiero da Caltagirone († 1283), ricoprì un ruolo di primo piano nella ribellione dei Vespri siciliani e nella successiva Guerra dei vent’anni (1282-1302). Questa illustre famiglia si estinse a Trapani con Giacomo degli Abate.

Ingresso di Alberto al Carmelo di Trapani e sua formazione religiosa.

Alberto aveva varcato da poco il settimo dei suoi anni quando, secondo la consuetudine del tempo, fu richiesto al padre da Giacomo I d’Aragona († 1276) come fidanzato della propria figliuola di nome Eleonora. La madre ricordò al marito, desideroso di provvedere all’avvenire del figlio con un contratto tanto vantaggioso per il casato, che non voleva venir meno alla promessa fatta alla SS. Vergine. Palesò anzi il suo voto al figlio il quale, già prevenuto dalla Grazia, e sentendo in lui crescere sempre di più l’esigenza della vita dello Spirito, ratificò con gioia la decisione dei genitori. La presenza amorosa di Maria, a cui fu votato Alberto prima ancora di venire al mondo, lo guiderà non solo nei primi passi della sua vita di fede ma soprattutto durante tutto il suo ministero sacerdotale pubblico e per sua intercessione otterrà da Dio le grazie necessarie a favore di coloro che si rivolgeranno a lui.
I Carmelitani di Trapani furono felici di accogliere il Santo nel loro noviziato, formarlo negli studi e nella osservanza della Regola; in tutte queste cose Alberto eccelse talmente da edificare non solo i confratelli, ma anche i superiori. Con l’ingresso al Carmelo, con molta probabilità avvenuto tra il 1248 e il 1250, il fervore religioso di Alberto crebbe e si intensificò il suo cammino di comunione con Dio che imparò ad incontrare da vero contemplativo, non solo durante la preghiera personale e della comunità, ma anche attraverso le vicende del suo nobile casato, del suo Ordine, negli eventi cittadini e nella storia del suo tempo e in particolare della sua terra di Sicilia.

Le varie recensioni e copie della Vita del Santo tacciono sugli anni della sua formazione religiosa e in vista della sua ordinazione presbiterale, ma possiamo affermare con certezza e senza ombra di dubbio che proprio in quegli anni fu preparato dallo Spirito il “servo buono e fedele che il Signore porrà a capo della sua famiglia per distribuire a tempo debito la razione di cibo” (Cfr. Lc 12,42). Comunque, nel contesto del suo itinerario formativo, le biografie che lo riguardano, narrano alcuni episodi particolarmente significativi che testimoniano la santità del giovane discendente dell’illustre famiglia degli Abati fin dai primi passi del suo cammino religioso. Il diavolo, nemico di ogni autentica santità, concepì un odio mortale contro di lui. Durante il noviziato cercò di fargli abbandonare la vita intrapresa apparendogli sotto le sembianze di una giovane avvenente e insinuandogli con voce di sirena dell’inferno l’impossibilità per lui di restare in quello stato così poco adatto alla delicatezza del suo corpo e alla nobiltà dei suoi natali.
Alberto in principio rimase meravigliato di quella strana visione, ma appena si accorse che si trattava di una illusione di Satana, si segnò, supplicò la SS. Vergine di proteggerlo, e con il segno della Croce mise subito in fuga il nemico dell’umano genere che disparve a queste sue parole: “Vattene, Satana, tu non sei una creatura umana ma una mentita e maledetta figura”. Da quel giorno il fervente novizio intensificò le mortificazioni, portò il cilicio tre volte la settimana, non beveva vino e, il venerdì, per meglio ricordarsi del fiele e dell’aceto con cui era stato abbeverato in croce il Figlio di Dio, suo Signore, non consumò che pane ed assenzio. L’ozio gli riusciva sempre insopportabile. Lungo il giorno egli o pregava o studiava o si dedicava alle opere di carità. Oltre il breviario di ogni giorno, egli recitava di notte l’intero Salterio inginocchiato davanti al Crocifisso che teneva nella sua cella tutt’oggi conservata tra le mura di questo Convento dell’Annunziata di Trapani. Una volta il demonio tentò di impedirgliene la recita con lo spegnergli il lume, ma il Signore gli apparve per impedire che il suo servo buono e fedele patisse distrazioni nella preghiera.

Nel convento e nella Chiesa dell’Annunziata immersa nella solitudine della campagna circostante la città di Trapani e donata dai suoi zii paterni con atto notarile del 24 agosto 1250, Alberto, giunto all’età richiesta dai sacri canoni, trascorse il periodo di formazione, emise la professione religiosa e fu ordinato sacerdote, rinunziando così per sempre ad un enorme patrimonio, al suo lignaggio e al suo futuro politico, per vivere povero, casto e obbediente, avendo come unico bene il suo Signore. Ascese al sacerdozio per obbedienza, tanto se ne riteneva indegno.
Da alcune pergamene del Convento dell’Annunziata, oggi conservate alla Biblioteca “Fardelliana” di Trapani, sappiamo della sua presenza presso la comunità religiosa trapanese:
– l’8 agosto 1280: Alberto è presente al secondo testamento del Notar Ribaldo (suo zio) a favore dei Carmelitani da lui sottoscritto anche a nome di un suo cugino Ottone di Ventimiglia;
– il 4 aprile 1289: Alberto è presente al testamento della zia Perna Abate, moglie del Notar Ribaldo, ricoprendo la carica di Priore del Convento. Questo testamento fu accompagnato dal rito dell’unzione degli infermi e comunione sotto le due specie. Guglielmo da Messina, Priore provinciale di Sicilia pro tempore (che partecipò al Capitolo Generale di Montpellier nel 1287 in cui fu deciso il cambio della Cappa dell’Abito dell’Ordine, da barrata a striscie bianche e nere a tutta bianca), era presente al testamento, qui il Santo si firma “Io frate Alberto da Trapani”.

Tramite questo documento, e quindi in base ai dati ufficiali, gli storici comprovano la nascita del Santo a Trapani e non ad Erice, diatriba che lungo i secoli ha fatto versare fiumi d’inchiostro da entrambi le parti. Da questi due testamenti autografi, si evince come grazie all’ingresso di Alberto degli Abate nel Convento Carmelitano dell’Annunziata di Trapani, parte del patrimonio di famiglia spettante al Santo venne devoluto, a motivo della sua rinunzia, a favore del Convento medesimo in cui egli entrò per servire il Signore con cuore puro e retta coscienza, divenendone ben presto il vero fondatore spirituale, gettando le basi di quello che sarà nel tempo il luogo di culto più importante della Sicilia occidentale.

Morte e glorificazione.

Nella sua vecchiaia Alberto si era ritirato a vivere nella solitudine, presso Messina. Un giorno cadde gravemente malato e Dio gli rivelò il giorno e l’ora in cui sarebbe morto. Egli ne avvertì i confratelli e si preparò al grande passo nell’unione con il Signore. Il suo beato transito da questa terra avvenne in Messina tra il 6 e il 7 agosto dell’anno 1307. Furono innumerevoli i fenomeni spirituali accaduti in quel momento. Subito, mentre egli spirava, le campane del convento cominciarono a suonare senza che alcuno le tirasse; intanto tutti i presenti videro uscire la bell’anima di Alberto dalla sua bocca in forma di colomba e volare direttamente in cielo, come testimoniano tutti i suoi più antichi biografi.

Dal suo santo corpo uscì un profumo così intenso che meravigliò tutti e in modo tale che non solo i cristiani ma anche i giudei andarono in molti a vedere una cosa così meravigliosa come quella. L’arcivescovo Guidotto de Tabbiatis († 1333) con molto Clero, ed il re Federico III d’Aragona con molto seguito, ad imitazione del popolo si portarono a visitare la salma venerata, dimostrando così quanto fosse grande la loro riconoscenza all’insigne religioso che tanto aveva beneficato la città dello Stretto. Intanto si dovette provvedere per i funebri onori: ma prevedendosi che il popolo avrebbe pretesi per Alberto gli onori dei santi e non le esequie dei defunti, il prudente arcivescovo ordinò che per tre giorni si digiunasse e pregasse allo scopo di ottenere i necessari lumi dal Cielo. Trascorsi i tre giorni, sempre per ordine dell’arcivescovo si venne alla celebrazione dei funerali.
Inutile dire dell’interminabile corteo giacché tutta Messina e moltissimi da ogni parte della Sicilia vollero parteciparvi; e con edificante pietà seguivano la salma il re ed i magistrati. Giunto il funebre corteo dal Convento dei Carmelitani alla Cattedrale e deposto il cadavere presso l’altare, sorse aspra contesa fra il clero ed il popolo, perché i sacerdoti in omaggio alle prescrizioni della santa Chiesa si disponevano a celebrare la Messa dei defunti, mentre il popolo ad ogni costo voleva che la liturgia fosse quella dei santi. Notificata la grande contesa all’arcivescovo, questi con molta prudenza e forse ispirato da Dio si presentò al popolo tumultuante e ottenuta a stento la calma così prese a dire: «Non meno di voi tengo ancor io Alberto in concetto di santo; ma sarebbe presunzione la nostra se volessimo arrogarci il diritto di decretargli gli onori degli altari: piuttosto, figli carissimi, rivolgiamo al Signore le menti ed i cuori, supplicandolo a mostrarci con un segno soprannaturale quale sia la sua divina volontà».

Le parole del saggio pastore furono accolte con docilità da tutti; e così clero e popolo innalzarono a Dio fervide preghiere. In quel momento, presente una moltitudine di fedeli, numero grande di clero regolare e secolare con a capo il venerato arcivescovo, e lo stesso re Federico, apparvero due angeli di sovrumana bellezza, splendenti di celeste luce e vestiti di candida veste che fermandosi sopra il corpo di Alberto intonarono la Messa dei santi confessori: «Os iusti meditabitur sapientiam… La bocca del giusto proclama la sapienza…», e poi disparvero. Con questo inaudito prodigio, il Cielo stesso pose fine alla questione sul rito da celebrare ai funerali dell’uomo di Dio, approvando così l’universale acclamazione del popolo. Alberto, caso forse unico nella storia della Chiesa, fu dunque acclamato santo dal re e dal popolo, dall’arcivescovo e dal clero secolare e regolare.
Dopo la morte del Santo, per interessamento dello stesso sovrano Federico e dell’Arcivescovo Guidotto si portò a conoscenza del Sommo Pontefice Clemente V (che fu papa dal 1305 al 1314, anno della sua morte) l’evento avvenuto ai funerali del Santo. Il Papa, a quanto pare, ascoltato il parere dei Cardinali, permise a viva voce la venerazione del Santo confessore Alberto. Comunque, sta di fatto che il suo culto iniziò a diffondersi come un baleno dal giorno della sua morte in seno all’Ordine Carmelitano e fuori di esso, mentre la prima traslazione di alcune delle sue principali reliquie è da ascriversi intorno al 1318 mentre la sua prima biografia è stata compilata poco dopo il 1385.
I suoi resti oggi sono sparsi in tante piccole parti nella stragrande maggioranza delle Chiese Carmelitane, ad eccezione del suo Cranio custodito integro nella Cappella omonima del Santo in questo Santuario Carmelitano di Trapani.

PREGHIERA

O Dio, che in sant’Alberto, fedele servitore della beata Vergine del Carmelo, hai dato alla tua Chiesa un modello di purezza e di preghiera, fa’ che imitiamo la sua vita evangelica per condividerne la gloria in cielo.
Per Cristo nostro Signore. Amen.