“Carissima Suor Cristiana, mi commuove la tua profonda fiducia nei confronti dell’umanità. La tua è una vocazione colma di affetto e vicinanza, tanto da donare all’altro, come nel mio caso, una pace ineffabile”. Con queste parole inizia la prefazione al volume “Un raggio di luce oltre le grate” (Editrice Velar, 2023) di suor Cristiana Scandura. Sono parole di un detenuto condannato all’ergastolo, di un uomo che vive oltre le sbarre e che grazie alla missione di suor Cristiana ha ricominciato a sperare e ad avere fiducia non solo in Dio ma nella vita. Dopo questo volume è nato un altro libro, “Dalle tenebre alla luce” (Editrice Velar, 2024), una raccolta delle riflessioni che l’autrice invia bimestralmente a tutte le carceri d’Italia, alternate alle lettere che quotidianamente riceve da parte di numerosi detenuti. AciStampa ha intervistato suor Cristiana, Clarissa del Monastero Santa Chiara di Biancavilla (in provincia di Catania), per poter comprendere meglio il suo servizio “a distanza” nelle carceri.
Suor Cristiana, prima di tutto, come nasce la sua vocazione religiosa?
Beh, come tutte le storie di Dio posso dire che tutto è avvenuto in maniera assai “strana”. Prima, vivevo come la maggior parte dei giovani: frequentavo l’Università; avevo parecchie amicizie; vivevo una vita abbastanza serena, apparentemente felice. Tuttavia nel profondo del cuore, a più riprese, il Signore mi faceva sentire una certa insoddisfazione e il desiderio profondo di conoscerlo meglio, di fare della mia vita qualcosa di più grande, di più bello: mi metteva nel cuore un anelito che io non capivo, non riuscivo a decifrare ancora. Solo mi accorgevo che le gioie, anche lecite, che mi dava il mondo, anziché appagarmi, mi lasciavano con un senso di vuoto e di tristezza. All’età di 18 anni, proprio la notte di Pasqua, il Signore chiamò a sé mia Madre. Quel dolore, oltre a spezzarmi il cuore, fu come se spezzasse le mie resistenze interiori, mai come allora sentii accanto a me la Presenza del Signore. A distanza di poco meno di due anni, anche mio padre, non resistendo al dolore per la perdita di mia madre, ritornava al Cielo. Questi eventi dolorosi mi portarono ad aprire gli occhi sul fatto che la vita è breve, che si vive una sola volta ed è importante spendere bene questa vita, impiegandola nell’unica cosa necessaria: conoscere Dio. E conoscere Dio significa diventare come Lui: amore. In questo tempo ricordo che ricercando chiese solitarie, trascorrevo molto tempo ai piedi del Tabernacolo, chiedendo a Gesù cosa volesse dirmi con la storia che stava facendo con me e stando in ascolto della Sua voce che parla al cuore in maniera molto eloquente. Non saprei ridire quello che passava tra me e Gesù in questi momenti. A poco a poco mi caddero come delle bende dagli occhi e cominciai a guardare la storia, la mia storia con gli occhi di Dio. Fino allora era come se avessi conosciuto il Signore solo per sentito dire. Fu allora che compresi la chiamata a vivere nella preghiera e nell’offerta, dietro la grata di un Monastero di clausura.