Commento di Fra Marcello Buscemi e Suor Cristiana Scandura
Venerdì della II settimana di Quaresima
Letture: Gen 37,3-4.12-13.17-28 Sal 104 Mt 21,33-43.45
Riflessione biblica
“C’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna” (Mt 21,33-46). Il riferimento è ad Is 5,1-7, soprattutto alla delusione di Dio per la sua vigna, che invece di “produrre uva, ha prodotto acini acerbi”. “La vigna” è l’Israele di Dio, che ripetutamente ha deluso Dio non ascoltando i suoi richiami alla conversione attraverso i profeti e l’invio di Gesù: “Dio molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Ebr 1,1-2). Gli “operai della vigna” siamo noi, l’Israele di Dio, la Chiesa di Dio, chiamati a “convertirci e credere nel Vangelo” per essere vigna eletta del Signore, coloro che lo amano e obbediscono ai suoi messaggeri di salvezza e soprattutto a Gesù, il Figlio amato, l’erede. In lui, anche noi “siamo eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (Rom 8,17). Due cose ci sono richieste per ottenere l’eredità del Regno di Dio: accogliere Gesù e consegnare frutti a suo tempo. Accogliere Gesù: egli è fondamento del nostro vivere da credenti: “Agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo; in lui, tutto il corpo cresce in modo da edificare se stesso nella carità” (Ef 4,15-16). Solo accogliendo Gesù, “pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive veniamo costruiti come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo” (1Pt 2,4-5). Portare frutti: “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me” (Gv 15,4). Facciamo tutto in Gesù, con Gesù e per Gesù: “Qualunque cosa fate, in parole e in opere, tutto fate nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre” (Col 3,17).
Lettura esistenziale
“A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti” (Mt 21,43). Gesù osserva l’uomo dei campi, il nostro Dio contadino: lo vede mentre guarda la sua vigna con gli occhi dell’innamorato e la circonda di cure. Che cosa potevo fare di più per te che io non abbia fatto? Parole di un Dio appassionato e triste, che continua a fare per me ciò che nessuno farà mai. Fino alla svolta del racconto: alla fine, che cosa farà il signore della vigna? La risposta dei capi è tragica: continuare nella stessa logica, uccidere, eliminare gli omicidi, mettere in campo un di più di violenza. Vendetta, morte, ancora sangue. Ma non succederà così. Questo non è il volto, ma la maschera di Dio. La parabola non si conclude nel disamore o nella vendetta, ma su di una fiducia immotivata, unilaterale, asimmetrica perché tra Dio e l’uomo le sconfitte servono solo a far risaltare di più l’amore. La vigna di Dio sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. E allora inizierà da capo la conta, e il rischio, della speranza. Così è il nostro Dio: in Lui il lamento non prevale mai sul futuro. Un popolo c’è, un uomo c’è, di certo sta nascendo, forse è già all’opera, chi sa farla fruttificare. Ci sono, stanno sorgendo, in mille piccole vigne segrete, dei coltivatori bravi che custodiscono la vigna anziché depredarla, che mettono il proprio io a servizio dell’umanità, anziché gli altri a servizio della propria vita. Sono i custodi del nostro futuro. Sanno produrre quei frutti buoni che Isaia elenca: aspettavo giustizia, attendevo rettitudine, non più grida di oppressi, non più sangue. Il profeta sogna una storia che non sia guerra di possessi e battaglia di potere, ma sia vendemmia di giustizia e pace, il volto dei figli di Dio non più umiliato. Il Regno comincia con questi acini di Dio, come piccoli grappoli di Dio fra noi (Ermes Ronchi).