Commento di Fra Marcello Buscemi e Suor Cristiana Scandura
Martedì della IV settimana di Quaresima
Letture: Ez 47,1-9.12 Sal 45 Gv 5,1-16
Riflessione biblica
“Gesù gli disse: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina” (Gv 5,1-16). Ancora un’invito di Gesù a camminare: una fede statica non ci porta alla salvezza. Per 38 anni, quel paralitico aveva atteso di poter guarire e la sua risposta risuona angosciosa: “non ho nessuno che mi immerga”. Quanti malati che non hanno chi li aiuti: non solo quelli malati nel corpo, ma anche quelli che sono e si sentono soli. La solitudine non è normale e il cristiano deve ricordarsi che “le varie membra abbiano cura le une delle altre” (1Cor 12,25). Il primo aiuto alla nostra solitudine viene da Gesù: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20), ma anche da coloro che credono in Gesù: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20). “Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”. Per camminare, bisogna alzarsi e liberarsi dalle “paralisi” che intorpidiscono l’esistenza e ci immobilizzano nella routine della vita quotidiana, nel ripetersi di azioni senza slancio vitale, carichi di pensieri negativi, giudizi e pregiudizi. “Alzati”: prendi coscienza del tuo modo di vivere, del bisogno di rinnovamento e di elevazione per lasciarti rinnovare dallo Spirito di Dio. “Prendi la tua barella”: risveglia le tue potenzialità e cammina nella verità, nella giustizia e nella santità della vita. “Cammina”: non da solo, ma con Cristo, perché egli è la vita, la guarigione dell’anima, il sostegno nella sofferenza e nei momenti difficili. “Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fil 4,13). E sentirai: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza. Mi vanterò volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo” (2Cor 12,9).
Lettura esistenziale
“Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?»” (Gv 5,5s). Attorno alla grande piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, giaceva un gran numero di uomini afflitti da varie malattie, zoppi, ciechi e paralitici, che attendevano di immergersi nelle acque salutari della piscina per trovarvi la guarigione. Gesù passa, vede un uomo che da 38 anni è paralizzato e giace su una barella. Si ferma e gli chiede: “Vuoi guarire?”. Sembra una domanda superflua, scontata, ma non lo è la risposta dell’uomo: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me» (Gv 5,7). Quest’uomo non ha nessuno che lo prenda per mano, che lo tiri su, che lo sollevi, che si prenda cura di lui. Come in un cattivo sogno, arriva sempre tardi, perché si trascina da solo. Questo fa male. La prima malattia di quest’uomo non è la paralisi ma la solitudine. La guarigione comincia così: con uno che si avvicina, si ferma e parla. La nostra umanità si gioca tutta qui, nel fare come Gesù, che si prende cura del fratello più debole, incominciando a stragli semplicemente accanto.