di Tiziana Frigione – Gli studiosi si interrogano da tempo sui rischi sociali e psicologici, legati all’uso dei social, e concordano sulla dipendenza tossica che generano, specie nel rapporto con gli smartphone, che rendono le vite sempre connesse. Nuove forme di disagio abitano questi luoghi, dove si alimentano pensieri di diffidenza, giudizio e persino persecutori, quasi un’angoscia identitaria, alimentata dal timore di non ricevere conferme, dal bisogno ossessivo di essere visti, riconosciuti, ma anche di canalizzare quella rabbia distruttiva, che si è incapaci di comunicare ed elaborare in altro modo. E’ un fenomeno che si inscrive perfettamente in una società contemporanea permeata dalla dimensione della esibizione, dell’apparire, della visibilità, a discapito dell’autenticità e della dimensione relazionale, umana, l’unica capace di veicolare emozioni, sensazioni, valori, esperienze vere.
Il bisogno di essere visti per esistere occupa così uno spazio importante dell’ esistenza, pervasivo. L’esperienza soggettiva rischia di diventare rarefatta ed inconsistente, senza i social che continuamente sollecitano il soggetto ad una esposizione e misurazione quantificabile di se, che diventano spesso occasione per esprimere opinioni altrimenti incomunicabili . Nuove possibilità identitarie faticano a realizzarsi quando le dinamiche sociali sono centrate sulla valutazione, sull’immagine, sulla consapevolezza che spesso non sia reale ciò che viene ostentato. Un aspetto che ci permette di avere una possibile lettura dei fenomeni che osserviamo nella realtà contemporanea e nell’uso dei social è l’assenza del limite , del confine che esprime quella funzione paterna , regolatrice della vita e del desiderio, capace di realizzare relazioni umane responsabili, sane e belle. Tutto è possibile, senza confini di spazio e tempo, senza confini identitari, dove per emulazione ed omologazione si assume un comportamento che risponde ad un bisogno immediato. Sembra non esistere alcuna rappresentazione mentale del limite necessario a contenere quelle emozioni che premono per raggiungere un bersaglio e spesso distruggerlo, nella negazione totale dell’umanità dell’altro.
Quello che colpisce particolarmente è che l’utilizzo dei social, come strumento di ostentazione di sé, con una sottesa valenza aggressiva, riguardi molto di più gli adulti, che attraverso le immagini e le comunicazioni, sembrano voler esclusivamente sostenere la propria autostima, con affermazioni perentorie, sarcastiche e giudicanti. Possiamo definire in questi casi, l’uso dei social come un’ attività narcisistica che si mobilita quando nasce una minaccia all’autostima ed è necessario ristabilire a tutti i costi un equilibrio.
Tutti, aldilà della facciata che esibiamo, facciamo i conti con un senso interiore d’inadeguatezza, vergogna, debolezza, inferiorità. Ciò in cui differisce una personalità narcisistica è il comportamento compensatorio, il modo in cui riparano la loro ferita narcisistica. Per mantenere alta la propria immagine, umiliare, provocare, distruggere, manipolare la realtà, diventano strumenti necessari. Corriamo tutti il rischio di entrare in questo gioco, identificandoci e sentendoci provocati? Siamo invitati ad un sincero lavoro di consapevolezza, per sottrarci e godere degli enormi vantaggi che la realtà dei social ci offre.