Ottanta abitanti d’inverno, tremila d’estate. Ma ad Alicudi, piccola isola delle Eolie, Peppino Taranto, proprietario di un albergo-ristorante, si è messo a censire le capre, ben 700, alcune anche grandi, e le pecore, 300 secondo i suoi calcoli.
Il loro habitat naturale non è certo il mare, e così trovano ristoro a quota 600 metri, nel ponente dell’isola, nelle località di Sciara Tufazio, Galera, Cugnaruttieddu. “Zone impervie, pericolose e difficilissime da raggiungere”, dice Taranto.
Ne sanno qualcosa due agenti della polizia municipale, che lo scorso anno sono sbarcati ad Alicudi per un censimento. E proprio in quell’area così impervia vivono una trentina di stranieri, in compagnia delle capre selvatiche e, si stima, di 10 mila conigli. Per non contare i 12 muli da soma, che trasportano con lentezza ogni cosa, nell’isola che vive, sì, di turismo, ma non disdegna la pesca e l’agricoltura (presenti alcune coltivazioni di capperi).
Alicudi ha cura per le sue capre, mentre la vicina Filicudi protegge delfini, capodogli e tartarughe.
Il rischio più grosso, ad Alicudi, lo corrono i muri a secco, nati dalle mani e dalla sapienza della manovalanza locale per terrazzare i terreni. Lì il passaggio delle capre è devastante.
“D’estate – spiega Taranto – le capre fanno abbuffate di fichi d’india e ripuliscono l’erba: non è un caso che non si verificano incendi. A gruppi di 20 o 30 calano a Pianicello, a ovest di Alicudi, a quota 300 metri, dove vive una piccola comunità di tedeschi, lasciando il segno nei loro terreni e facendo rotolare massi a valle. In passato si era tentato di realizzare dei recinti e con l’ausilio dei cani di metterle in gabbia, ma senza successo”.
Se a Lipari c’è il problema dei cani randagi, Alicudi fa i conti con con la “capreietà”, come chiamano il fenomeno alcuni abitanti che mal sopportano la presenza delle capre sull’isola.
L’editore vicentino Aldo Di Nora, ideatore di guide turistiche e mappe per trekking, con la compagna spagnola ha scelto di vivere sull’isola. “I turisti – dice – vengono anche per praticare yoga e meditazione, danze di gruppo. L’isola è fatta per gente che ama il silenzio, la tranquillità e la natura. Certo che il problema delle capre esiste e la soluzione non è facile”.
Da alcuni anni è arrivato ad Alicudi anche il magnate tedesco Cristof Bosch, che ha comprato una villa sul mare e due ruderi, ai confini della proprietà, dagli eredi di Enrico Cuccia.
L’attrazione per il luogo proviene proprio dal suo essere selvaggio. Si racconta che Vittorio Sgarbi cominciò a usare con insistenza il termine “capra”, in senso spregiativo, ascoltando a Panarea uno scrittore greco, di ritorno da una gita ad Alicudi, il quale parlava dell’odore pervasivo di questi ovini.
Ma nessuno parla dell’opera di bonifica svolta dalle capre, che brucano rovi ed erbacce che gli uomini, altrimenti, lascerebbero crescere. “I sentieri sono abbandonati – dice un isolano – hanno bisogno di lavori. Il porto vive dell’elemosina degli isolani che cercano di tappare i buchi del molo come possono: le griglie sono saltate, prima o poi la Capitaneria chiuderà tutto”.
Un pensionato racconta che “il turismo dura 30 giorni scarsi, con due alberghi che hanno una trentina di stanze e alcuni affittacamere. La scuola ha una bellissima sede, ma con pochi alunni, e d’estate diventa biblioteca. I genitori portano i figli a Lipari o a Milazzo per studiare”. La chiesa di San Bartolo apre solo il sabato, quando arriva il prete da Filicudi.
Alicudi, terra d’emigrazione, usufruisce dei servizi di padre Fredy che arriva dal Congo e da un anno aiuta padre Dorwin che arriva dalla Nigeria. In pieno inverno i fedeli che seguono la messa variano da 7 a 10, raddoppiano in piena estate. Durante la Pasqua si arriva anche 30 partecipanti alla funzione religiosa.
E mentre Alicudi, tra giovani che vanno via per studiare o abitanti in cerca di fortuna, si spopola le capre continuano invece a moltiplicarsi