• 1 Maggio 2024 18:52

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

Il Festival della Settimana della Comunicazione, che quest’anno ha mobilitato tutta Catania, non poteva non volgere il suo sguardo anche alla grande questione riguardante “La parola in famiglia al tempo digitale”, approfondita martedì 16 maggio presso la Badia di S. Agata durante un convegno, moderato da Alberto Chiara, capo redattore di Famiglia Cristiana, il quale mette subito in evidenza come siamo dinanzi a “un tema letteralmente di casa” che ci porta concretamente “all’interno delle mura domestiche, all’interno delle famiglie”.

Il primo intervento di Mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, precisa come il tema non è solo questione di strumento di comunicazione dalla carta al computer, al tablet o allo smartphone, ma riguarda la fondamentale constatazione che, sua testuale affermazione, “la Parola emigra”, da quando il Verbo si è fatto carne e continua ad emigrare oggi più che mai al tempo del digitale. In questo nuovo scenario dinanzi ad una parola sempre più evanescente usurata “la fede è una parola innamorata”.

Segue l’intervento di Francesco Belletti, sociologo e direttore del Centro internazionale studi sulla famiglia, il quale, da una costante ricerca di analisi di dati delle condizioni delle famiglie, mette in risalto come oggi non si può più parlare di online o offline, ma di on-life, un vero e proprio ambiente di vita in cui non esiste più famiglia che non sia abitata dal digitale. La pandemia non ha fatto altro che accelerare un processo già in avvio da qualche decennio.

Per ultimo prende parola don Salvatore Bucolo, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale della famiglia di Catania, il quale inizia il suo intervento constatando come sul tavolo dei relatori ci sono quattro smartphone, uno per ciascuno, a confermare quanto appena detto da Belletti: siamo oggi tutti on-life. Raccontando della sua esperienza pastorale, evidenzia come per le famiglie il digitale è una vera e propria sfida, e come tale genera degli scenari del tutto inediti. Quante volte durante la pandemia tante famiglie si sono trovate a vivere dentro un’unica stanza, in cui il papà faceva il suo lavoro in smartworking, i suoi due figli impegnati con le loro rispettive scuole a fare la DAD, e la mamma occupata a fare le sue commissioni on-line. Tutti fisicamente presenti l’uno accanto all’altro in uno stesso spazio, ma ognuno occupato a gestire la sua relazione con altri in rete.

Dinanzi a questa scena quanto mai reale e comune è più facile abbracciare questi due atteggiamenti contrapposti: da una parte, quello del permissivismo assoluto, spesso dovuto a genitori o adulti totalmente inesperti del digitale, che lasciano i loro figli in balia dell’utilizzo di questi mezzi senza alcun orientamento e discernimento; dall’altra, quello del divieto assoluto del digitale, dettato dalla convinzione che, a prescindere da qualsiasi finalità, l’utilizzo di tali mezzi è apriori errato perché considerato esclusivamente irreale o, più comunemente, virtuale. Ma una videochiamata su WhatsApp o una riunione su Zoom o una diretta streaming su YouTube è virtuale? Certamente no! È digitale, ma con superficialità si fa coincidere digitale con virtuale.

Questo nuovo scenario ci mostra come ci troviamo, usando le parole di Papa Francesco, in un cambiamento di epoca, che va considerata un’opportunità o, meglio, il grembo di una profezia. In che senso? L’era del digitale può diventare il luogo in cui la parola in famiglia può affermare tutta la sua potenzialità e creatività. Perché questo si realizzi occorre una vera e propria ortoprassi, fatta di accompagnamento, formazione e attivazione di nuove procedure, affinché la famiglia posso riappropriarsi, in modo nuovo, del suo essere soggetto della parola nel tempo del digitale.

Conclude Mons. Luigi Renna, Arcivescovo di Catania, il quale pone in evidenza come quest’anno Papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali ha spostato la sua attenzione dal mezzo di comunicazione al comunicatore, a significare come la comunicazione o l’utilizzo di qualsivoglia strumento non può prescindere dal soggetto che comunica, tassello che sta al fondamento di una vera comunicazione. Ha, infine, condiviso una prassi di un suo amico magistrato che ha messo a casa sua un computer a disposizione di tutta la famiglia, oltre quello che ciascuno possiede personalmente, a significare un esempio di come sia possibile attivare nuove prassi nell’utilizzo del digitale all’interno delle mura domestiche.

Dulcis in fundo, la serata volge al termine con l’inaugurazione di una mostra dell’Accademia delle Belle Arti nella quale la professoressa Rosaria Calamosca sottolinea come una esposizione possa diventare la manifestazione visibile e artistica del comunicare col cuore. Empatia è la parola tema di tutta la mostra, attraverso cui come docente lei ha sperimentato il ruolo fondamentale di educatore. “Grazie, Catania!” così conclude Alberto Chiara nel ringraziare quanto Catania stia facendo in questi giorni nell’organizzare il prezioso evento del Festival della Comunicazione.

(Fonte prospettive.eu – don Salvatore Bucolo)