Commento di Fra Marcello Buscemi e Suor Cristiana Scandura
Feria propria del 9 gennaio Letture: 1Gv 4,11-18 Sal 71 Mc 6,45-52
Riflessione biblica
“Vedendolo camminare sul mare, pensarono: E’ un fantasma, e cominciarono a gridare” (Mc 6,45-52). L’epifania di Gesù ai suoi discepoli mira a rinforzare la nostra fede. Ma “il cuore indurito” non sempre ci fa riconoscere il manifestarsi di Gesù negli eventi della vita. Anzi, quando il mare del nostro cuore è in tempesta e il vento delle contrarietà soffia forte e impetuoso, non solo la nostra fede considera Gesù come “un fantasma” della storia, ma anche così lontano da aggrapparci a qualsiasi illusoria tavola di salvezza. Ma Gesù non è “un fantasma”: nella sua misericordia grida: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”. Parole che illuminano la nostra stanchezza e ci infondono il coraggio di continuare il cammino spirituale. “Sono io”: la sua presenza ci dà la certezza che egli è con noi “tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Con lui, il cuore non si turba (Gv 14,1), si rinfranca: “Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Fil 4,6-7). Gesù non è un fantasma: egli è presente, quando ci amiamo a vicenda e ci raduniamo nel suo nome: “In verità io vi dico: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,19-20). È presente, quando ci perdoniamo a vicenda e facciamo regnare l’amore tra noi: “Siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo. Fatevi imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore” (Ef 4,32-5,1).
Lettura esistenziale
“Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare. Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra. Vedendoli però affaticati nel remare, perché avevano il vento contrario, sul finire della notte egli andò verso di loro, camminando sul mare, e voleva oltrepassarli” (Mc 6,46-48). Non ha fretta Gesù: tre giorni ha atteso per Lazzaro, attende quasi una notte intera di tempesta, tre giorni aspetterà per risorgere. Ha sempre fretta invece quando in vista c’è una esaltazione, una ovazione. Fretta di andarsene e di portar via i discepoli. Perché il posto vero dei credenti non è nei successi e nei risultati trionfali, ma in una barca in mare, mare aperto, dove prima o poi, durante la navigazione della vita, verranno acque agitate e vento contrario. Ma non saranno lasciati soli. Viene per tutti il momento della prova e della paura. Il primo gradino della fede è un grido. O anche il gemito di un dolore senza parole: ho bisogno! Abbiamo tutti provato un principio di discesa nelle acque della disperazione, un fallimento nei rapporti umani, una malattia grave, e forse proprio lì abbiamo trovato la forza di gridare a Lui, senza nessun merito, il coraggio di fidarci e di affidarci. E Lui ha allungato ancora un po’ quella mano che non ha mai cessato di tenderci. E ci siamo aggrappati, ce l’abbiamo fatta. Quante volte siamo stati tirati fuori! Perché i miracoli ci sono, sono perfino troppi, solo che non bastano mai alla fede piccola. Il Signore ci raggiunge nelle nostre tempeste, non per puntarci il dito, ma per tirarci fuori. E allora la bufera diventa carezza, il grido nella tempesta diventa abbraccio tra l’uomo e il suo Dio.