• 29 Aprile 2024 0:56

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

polizzotti Gli altari che (non) visiteremodi Francesco Polizzotti – Con la Messa in “Coena Domini” entriamo nel Triduo Pasquale. Il cuore anticipa i riti e i riti accompagnano il sentimento religioso ancora presente nelle nostre città. Questa mattina la messa crismale ha offerto ai sacerdoti di rinnovare la loro adesione all’Istituto Sacerdotale, facendo riecheggiare quelle parole che li hanno condotti a donarsi per, con, in Cristo forti dell’insegnamento di Paolo: “Non son più io che vivo: è Cristo che vive in me. La vita che ora vivo in questo mondo la vivo per la fede nel Figlio di Dio che mi ha amato e volle morire per me”.

In questi giorni i credenti saranno invitati a partecipare ai riti pasquali per tornare al cuore della fede. Il memoriale della Passione e Morte di Cristo è lì non ad indicarci la via del dolore come via per seguire il Maestro ma la via della compassione, perché di compassione Cristo si è fatto maestro e non di supplizio, di perdita di contatto con la realtà, di distacco totale dalla vita degli uomini e delle donne di ieri e di oggi.

“Il Vangelo è la storia di un’amicizia. Una storia che conosce il pianto, il dolore, la paura, la morte. È la storia di ognuno quando comprende di essere amato, quando vede, tra le tante lacrime che la vita gli dona, anche quelle dell’Amico che sembrava lontano, quasi distratto e indifferente al dolore che accompagna ogni morte” (Marco Manco).

E questo Vangelo continua ad essere annunciato dalla Chiesa, una sposa non sempre fedele ma che nonostante la propria infedeltà porta a Cristo, comunque, le sofferenze e le fragilità di tutta l’umanità, offrendo mani e spazi che ancora rappresentano luoghi di relazione e di riconciliazione. Ma in questo sta il volto autentico di una Sposa che cammina in attesa di rivedere il proprio amato. Che sa riconoscersi peccatrice ma non per questo cede il passo, anzi proprio nelle cadute ritrova la forza di riprendere più velocemente il suo cammino sostenuta dallo Spirito.

I riti pasquali ci insegnano che i perfetti possono anche starsene a casa. Per loro non serve nemmeno scomodarsi, anche perché gli “altari della reposizione” che visiteranno non saranno quelli custodite nelle nostre Chiese, anche perché si arriva lì solo dopo aver camminato tutto il cammino quaresimale fatto di ascolto, condivisione, perdono, riconciliazione, apertura di braccia e cuori.

Ieri il Vescovo di Messina, S.E. Mons.Giovanni Accolla nella Messa crismale, citava una espressione del Santo Curato d’Ars che non mi ha lasciato indifferente. Giovanni Maria Vianney, (1786-1859) narrava di un contadino che tutte le sere, alla stessa ora, entrava solo soletto nella chiesa della sua parrocchia, si sedeva nell’ultimo banco e guardava fisso il Tabernacolo. Stava lì fermo in silenzio per lungo tempo, non aveva libri di preghiere perché non sapeva leggere, né corona di Rosario. Incuriosito dal singolare comportamento di quell’anziano contadino, san Giovanni Maria Vianney una sera gli si avvicina e gli chiede: «buon uomo, ho osservato che ogni giorno venite qui alla stessa ora e nello stesso posto. Vi sedete e state lì. Ditemi: cosa fate?». Il contadino, scostando per un attimo lo sguardo dal Tabernacolo, rispose: «nulla, signor parroco…. io guardo Lui e Lui guarda me».

Quel contadino non credo conoscesse il dono della contemplazione, la mistica teresina o l’afflato di Sant’Alfonso Maria de Liguori davanti all’Eucarestia, eppure era lì senza alcuna pretesa.

Il Padre Vescovo Giovanni indicava questa figura per tutto il clero, perché rivedesse anche i modi e le pratiche di vita parrocchiale, contrario ad “orpelli” e animazioni pastorali troppo ricercate, se non addirittura il ricercare “fuori”, quel completamento che non si riesce a trovare nella vita sacerdotale. Ma vale anche per tutto il popolo dei fedeli.

Torna qui il detto che ognuno ha impresso per sempre nel proprio cuore il nome delle persone affidategli davanti a Dio. Ognuno è colui che si ama. E prima di ogni altra cosa siamo questo per lui: coloro che egli ama. E gli amati si ammalano, provano dolore, vivono lo smarrimento, la paura di una felicità percepita ancora distante, attraversano il confine ostile della morte lasciando altri a piangere questa perdita. In questa visione prende forma l’amore del Cristo, il quale è disposto anche a perdere con noi oggi ma per poi risorgere insieme il terzo giorno.

Quante ingiustizie si consumano sotto i nostri occhi ci ricorda don Tonino Bello. Quanta indifferenza per il giusto che muore, per il povero che patisce il freddo, per il bambino denutrito e privo di cure. Agli occhi di Dio questi contano più di tutte le nostre devozioni e liturgie. A chi sa parlare meglio, Dio preferisce chi opera il bene e lo fa nel più assoluto silenzio. I sospiri dignitosi dei poveri hanno così la precedenza al canto accurato che risuona nelle nostre chiese, alle cose insegnate senza amore nelle nostre aule di catechismo. Non sempre si fa sedurre dal profumo dell’incenso, più di quanto non si accorga del profumo di chi con cuore puro non pronuncia menzogne.

In questi giorni, oltre a pregare davanti agli altari in cui viene custodito il “fratello eucaristico”, «il dono nuziale del Cristo alla sua Sposa e nella comunione il bacio dell’Amore» (S.Ambrogio) visitiamo quegli altari che facciamo fatica a riconoscere; nelle nostre strade, negli angoli di una sala d’aspetto, sotto le pensiline di una fermata, nel pianerottolo di casa propria…sì proprio dietro la porta che custodisce il nostro vicino anziano, con disabilità, che non vediamo uscire da tempo. Aprendo la nostra porta, il nostro cuore, le nostre mani rotoleremo via quella pietra che ci portiamo dentro da troppo tempo. E’ la Pasqua del Signore!