Commento di Fra Marcello Buscemi e Suor Cristiana Scandura
San Tommaso
Letture: Ef 2,19-22 Sal 116 Gv 20,24-29
Riflessione biblica
“Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo” (Gv 20,24-49). No! Tommaso non è incredulo, ma uno che vuol vedere e toccare. È uno che ci somiglia: abbiamo dubbi, incertezze, perplessità, specialmente quando la vita ci fa provare anche esperienze amare. Aveva seguito Gesù con entusiasmo e grinta, che coinvolgeva gli altri: “Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: Andiamo anche noi a morire con lui!” (Gv 11,16). È un “realista”: ama la concretezza, non si fida di quello che dicono le donne sulla risurrezione: “Alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo” (Lc 24,22-23). Ma non si fida neanche di Pietro né degli altri apostoli: lui vuole vedere e toccare. Un po’ eccessivo nel suo realismo, tanto che Gesù lo deve richiamare e far sì che la sua fede si esprimesse con pienezza: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente! Gli rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio! Gesù gli disse: Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,27-29). Tosto nel dubbio, ma sincero e profondamente credente nella parola del Signore: “Vado a prepararvi un posto. Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via” (Gv 14,2-4). Bella promessa, ma a Tommaso non basta: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?” (Gv 14,5). E la sua praticità ci ha meritato una risposta che vale più di un trattato di teologia: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6). Una teologia, infatti, non deve nutrirsi di astrattismi teorici, ma di un sano realismo che ci fa “toccare con mano” la via del Signore, la comunione con Gesù e il farsi dono nell’amore a Cristo e al suo comandamento essenziale: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35).
Lettura esistenziale
“Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!»” (Gv 20,26s). C’è aria di paura in quella casa, paura dei Giudei, ma anche e soprattutto paura di se stessi, di come lo avevano abbandonato, tradito, rinnegato così in fretta. Eppure Gesù viene. «E sta in mezzo a loro». Ecco da dove nasce la fede cristiana, dal fatto che Gesù sta lì, dal suo esserci qui, vivo, adesso. La fede nasce da una presenza. Nel piccolo gregge, Gesù cerca proprio colui che dubita: Tommaso. Ecco Gesù: non si scandalizza di tutti i miei dubbi, non si impressiona per la mia fatica di credere, non pretende la mia fede piena, ma si avvicina a me. A Tommaso basta questo gesto. Chi si fa vicino, tende le mani, non ti giudica ma ti incoraggia, è Gesù. Non ti puoi sbagliare! Tommaso si arrende. Si arrende alle ferite che Gesù non nasconde, anzi esibisce: il foro dei chiodi, toccalo; lo squarcio nel fianco, puoi entrarci con una mano; piaghe che non ci saremmo aspettati, pensavamo che la Risurrezione avrebbe rimarginato e chiuso le ferite del Venerdì Santo. E invece no! Il Risorto non porta altro che le ferite del Crocifisso, da esse non sgorga più sangue, ma luce. Porta l’oro delle sue ferite. Penso alle ferite di tanta gente, per debolezza, per dolore, per disgrazia. Le ferite sono sacre. Ciascuno può essere un guaritore ferito. Proprio quelli che parevano colpi duri o insensati della vita, ci hanno resi capaci di comprendere altri, di venire in aiuto. Tommaso si arrende alla pace, la prima parola che da otto giorni accompagna il Risorto: “Pace a voi!”. Non un augurio, ma una affermazione. Quella sua pace scende ancora sui cuori stanchi, e ogni cuore è stanco, scende sulla nostra vicenda umana come una benedizione immeritata e felice (Ermes Ronchi).