• 13 Ottobre 2024 3:12

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

Il nuovo sogno di don Franco Pati: “Una comunità per ricominciare a vivere”

Diilsycomoro

Ago 28, 2024

Nulla di nuovo in sé, ma qui, nel nostro territorio, questa comunità è un esperimento. L’esperimento di vivere in autonomia ma nella condivisione, convivendo e lavorando “dentro” le logiche dello stare insieme. Ciascuno facendo del proprio meglio. Ciascuno al servizio degli altri. Ciascuno dando ciò che può dare in ore e idee e fatica o, anche, in risorse materiali. Non più quindi operatori e utenti, ma utenti che si autogestiscono e si aiutano l’un l’altro, pur se con una supervisione esterna. È il nuovo sogno di padre Francesco Pati, fondatore di Santa Maria della Strada. Un sogno che, come fa sempre, sta provando a vivere in prima persona. “Qui – dice – abbiamo una piccola fattoria, maiali, galline, cavalli, asinelli, un terreno, una grande casa. Negli ultimi anni in questa struttura, sia pur non utilizzata in maniera residenziale, si è continuato a portare avanti le attività agro-zootecniche, con la presenza quotidiana di un operatore e di alcuni ragazzi della comunità di Galati. In questo periodo mi ci sono stabilito per verificare se questo spazio possa diventare una comunità autogestita”.

Una comunità autogestita

La comunità è intitolata ad Ignazio Cannavò; ricade nel territorio di Mili, ma di fatto è in collina, vicina a Forte Cavalli. In questa estate è stata riaperta dopo un periodo di sospensione di alcune attività. All’entrata ti accolgono i ragli degli asini e un paio di cani scodinzolanti. Un cane, d’altronde, è una delle ragioni per cui ha deciso di vivere qui, e qui combattere la propria lotta all’alcolismo, un quarantenne rumeno che ha conosciuto questa opportunità frequentando l’Help Center della stazione centrale di Messina (l’Help Center è un’altra delle strutture di Santa Maria della Strada dove i senza casa possono lavarsi e lavare i propri indumenti, fermarsi a prendere un caffè e fare quattro chiacchiere).

Il quarantenne aveva perso la dritta via a causa dell’alcol e aveva preso la via dell’alcol a causa delle cattive compagnie. Si era ritrovato a vivere in strada e senza lavoro. Con una ex moglie e due figli in Romania, l’isolamento da tutto e da tutti si era radicato come condizione esistenziale. E però aveva ancora voglia di riscatto. Ad accompagnarlo una cagnolina che mai avrebbe abbandonato che diverse strutture hanno rifiutato.

Dipendenze, patologie, povertà

Oggi, mentre conta i giorni trascorsi senza bere una goccia di alcol, vive il suo percorso di rinascita con la sua cagnolina, che dorme con lui nella sua stanza nella struttura di Mili. E si dà da fare ogni giorno. Perché molto c’è da fare anche se gli ospiti si contano ancora sulle dita di una mano.

Per dirne una, qui ha deciso di venire a vivere un messinese la cui abitazione è poco distante. È malato di tumore, non vede più, a stento può mangiare da solo. Con lui i rapporti non sono mai stati semplici ma ha chiesto di stare in questa struttura perché – dice – «voglio morire nella mia zona, dove ho vissuto tutta la vita». Recidere il legame con questa campagna, questi panorami, questo silenzio sarebbe stato per lui una ferita insanabile. E così eccolo qua. Naturalmente ha mille bisogni, comprese tutte le terapie da fare in ospedale. E da solo non ce la farebbe. “Ed è qui che intervengono gli altri ospiti, mettendosi a disposizione e offrendo il loro aiuto. Ma è – e deve essere – un aiuto corrisposto. Si mettono insieme le risorse, che siano materiali o umane, per creare un clima di fraternità e mutuo sostegno”, spiega padre Pati.

Un altro giovane, questa volta nord africano, è invece qui perché non è riuscito a trovare un lavoro che fosse uno e faceva letteralmente la fame, giorno dopo giorno perdendo la voglia di vivere. Prima o dopo si renderà autonomo, ma intanto sta imparando a riconoscere il proprio valore, svolgendo varie incombenze tutte necessarie all’esistenza della comunità.

Malattie dello spirito

“Non c’è solo la salute fisica a cui dare importanza”, mette in evidenza Franco Pati. “La disperazione, il senso di fallimento, la frustrazione sono portatrici di malattie dello spirito, che poi possono anche tradursi in patologie vere e proprie. Per ciascuno c’è una sorta di limite oltre il quale non ce la fa a resistere. E invece in questa struttura scopre o riscopre di avere ancora tanto da dare e da fare, e anche da insegnare agli altri. Ed è l’inizio della ripresa. Si ricomincia a vivere attraverso il proprio impegno, le proprie capacità, la propria fatica”.

Il nuovo corso della comunità non è ancora ufficialmente cominciato. Racconta il sacerdote: “Stiamo sperimentando. Uno a uno si aggiungono altri ospiti. Cerchiamo di vedere quali e quante possibilità di guadagno possa offrire questa sede a chi la abita. Quali e quanti occupazioni, servizi, forniture possiamo attivare. L’obiettivo è quello dell’autonomia vera e propria. Non è un obiettivo facile, ma altrove lo hanno realizzato”.

“Nello spirito che ci ha sempre accompagnato, sin dall’inizio della nostra storia, stiamo cercando di creare una piccola struttura nella quale mettere insieme persone con problematiche differenti, che volontariamente scelgono di fare un po’ di strada assieme. Ognuno con i propri bisogni ma con la voglia di rimettersi in gioco, impegnandosi con le proprie capacità. Persone che proprio grazie alla loro diversità possono diventare risorse le une per le altre”.

Le altre strutture

Sono tante le case e comunità che fanno capo a Santa Maria della Strada. Nella struttura di Galati si ospitano adulti in grave stato di disagio, alcuni provenienti dal carcere. A Giampilieri ragazze madri con i loro figli. La comunità di Roccalumera è dedicata ad adulti con gravi problemi di salute, anche mentale, talvolta malati terminali. L’Help Center e la casa di Provinciale sono rispettivamente dedicate all’accoglienza diurna e notturna dei senza fissa dimora.

La questione minori

Per anni la Ignazio Cannavò è stata casa di accoglienza di minori e giovani adulti in grossi guai. Molti stavano qui come alternativa al carcere. Poi una serie di circostanze hanno condotto allo stop delle attività. Per un verso, la sede era stata danneggiata seriamente dall’ultima serie di ospiti, e per altro verso c’era qualcuno che considerava troppo severi i metodi adottati.

I metodi erano quelli dell’esperienza educativa. Hai sporcato, vieni assegnato alle pulizie. Ha messo in disordine, ti viene affidato il riordino e il mantenimento dell’ordine. E via così. “Qualcuno le ha viste come punizioni e considerate eccessive. Ma si trattava di esperienze che facevano crescere e soprattutto facevano capire i guai che si erano combinati, le loro conseguenze. Sia quel che sia, attorno all’80% dei “nostri” ragazzi è riuscito a costruirsi una vita. Ragazzini che avevano abbandonato la scuola oggi sono laureati. Ragazzini che facevano scippi oggi si guadagnano un onesto stipendio. Ragazzini che si drogavano oggi assistono altri ragazzi che vogliono liberarsi delle loro dipendenze. Ogni volta che ci ricordiamo di loro, delle loro storie e dei loro successi, è per noi motivo di commozione. Anche perché tanti mantengono tuttora i contatti, cosa che ci rende felici”.

(fonte tempostretto)