Pubblichiamo un bellissimo articolo di Claudia Brunetto e Francesco Patanè giornalisti di Repubblica, che hanno intervistato alcuni protagonisti del primo viaggio apostolico di Papa Francesco avvenuto a Lampedusa.
E adesso il molo degli sbarchi si chiamerà Francesco. Lo chiedono i lampedusani che non hanno dimenticato il giorno in cui il Papa scelse la loro isola per legate suo Pontificato al dramma dei migranti.
Era il 2013 e la sua visita ai naufraghi appena sbarcati, le strette di mano con i profughi e l’omaggio in mare alle migliaia di morti furono azioni dirompenti che fecero il giro del mondo. L’8 luglio Bergoglio parlò di «globalizzazione dell’indifferenza» nella messa al campo sportivo durante nell’isola.
Giusi Nicolini era sindaca da circa un anno e quell’omelia fu profetica. «Il Papa è stato il primo a urlare al mondo il dramma dei morti in mare – dice Nicolini che ha guidato Lampedusa fino al 2017 – Grazie a lui mi sono sentita meno sola. Di uno come lui e delle sue parole noi tutti avremmo avuto ancora tanto bisogno». L’ex sindaca quell’incontro se lo porta dentro ancora oggi. Per tutti i lampedusani quella mezza giornata con il Papa è stata una boccata d’ossigeno e un’iniezione di speranza. Un omaggio ad un papa semplice che ha saputo entrare nei cuori dei lampedusani.
«Sono andata ad accoglierlo all’aeroporto e gli ho detto “grazie”. Lui ha risposto che non avrebbe mai potuto fare a meno di fare visita a quella piccola isola del Mediterraneo così accogliente, da esempio per tutta l’Europa. Mi ha detto: “Questo mare è un cimitero, non potevo ignorarlo”. A impressionarmi è stata soprattutto la sua semplicità, mi è apparso subito uno di noi, con le sue scarpette di tela ai piedi. Ero emozionatissima, per la prima volta al cospetto di un papa come lui».
Nell’omelia a Lampedusa papa Francesco pronunciò parole durissime contro le politiche migratorie dei governi. «Lui per primo disse che i morti nel Mediterraneo non sono vittime del mare in senso stretto, ma delle politiche di respingimento, di chiusura – continua Nicolini – Pensando alla potenza delle parole del papa di quel giorno, mi amareggia che non sia cambiato nulla: i morti in mare si continuano a contare ele politiche sono sempre più stringenti nei confronti dei migranti. Non è cambiato nulla né a livello nazionale, né europeo».
Quel giorno ad accogliere papa Francesco c’era anche Pietro Bartolo, all’epoca responsabile dell’ambulatorio, che ha curato centinaia di migliaia di migranti. «Perdo l’uomo che mi ha sempre trasmesso la speranza – ricorda l’ex deputato europeo del Pd – Papa Francesco è quella persona che al termine dell’omelia nel 2013 allargò le braccia e si rivolse ai ragazzi con “O’ scià” che significa fiato mio, un’espressione lampedusana che racchiude tutta l’accoglienza di quest’isola e della sua gente».
I cittadini di Lampedusa ieri mattina hanno chiesto al sindaco Filippo Mannino di intitolare il molo Favarolo a Francesco. Il primo cittadino già oggi avvierà le procedure.
«Le immagini di Francesco che protende le braccia verso il mare dal molo Favaloro sono ancora nei nostri occhi» dice Mannino che poi svela: «C’è un aspetto che più di tutti racconta come quella visita entro nella vita degli isolani: la maggior parte dei bambini nati quell’anno vennero chiamati dai genitori Francesco»
(Fonte Repubblica-Palemo – di Claudia Brubetto e Francesco Patanè)