Commento di Fra Marcello Buscemi e Suor Cristiana Scandura
Giovedì della VII settimana di Pasqua
Letture: At 22,30;23,6-11; Sal 15; Gv 17,20-26
Riflessione biblica
“Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me” (Gv 17,20-26). Fantastico! Gesù ha pregato per me, per te, per quanti crederanno alla sua parola e “diverranno una sola cosa in lui”. Gesù non solo ha pregato per i discepoli della prima ora, ma ha pensato anche a noi, lontani suoi discepoli, lontani nel tempo, ma sempre vicini a Gesù nell’amore. Nulla può il tempo o la lontanza nello spazio, se l’amore stabilisce l’unità voluta da Gesù: “che siano una cosa sola”. Tale unità è reale, quando tutti ci amiamo con lo stesso amore con cui ci ha amato Dio (Gv 3,16) e con cui ci ha amato Gesù (Gv 15,13), non donando qualcosa, ma noi stessi. L’unità perfetta è difficile, ma se ci facciamo guidare dallo Spirito di Dio, allora avverrà il miracolo: saremo “uno in Gesù”, un solo corpo con lui, un solo uomo nuovo, sentiremo in noi e tra noi quell’amore con il quale ci ha amato e che il suo amore è in noi. Anzi, lo Spirito ci guiderà alla conoscenza di Gesù e del Padre, attraverso la quale ci sarà la perfetta unità nell’amore e nella santità della vita. “Conoscere il nome del Padre”: non è solo riconoscere che Lui è all’origine della nostra esistenza, questo lo credono anche i pagani e gli sbiaditi “deisti”. Noi conosciamo una realtà più profonda: “Dio ci ha scelti per sé, prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà” (Ef 1,4-5). La nostra conoscenza non è fredda razionalità di filosofi, ma amorosa conoscenza di figli, che sentono in Gesù l’unità dei figli di Dio. La conoscenza è amore che il Padre ci manifesta in Gesù, comunicandoci la sua santità. Solo rimanendo in Gesù e lasciandoci condurre dallo Spirito, avremo la vita divina in noi e produrremo il frutto dell’amore nella gioia, nella pace con tutti, in una pazienza che sa accettare i fratelli e sorelle e nella padronanza del proprio essere nell’amore e per l’amore. Ciò può avvenire solo se Gesù rimane in noi e noi in lui: “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me” (Gv 15,4).
Lettura esistenziale
“Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me” (Gv 17, 23). Il Signore Gesù ha implorato dal Padre l’unità dei suoi discepoli, perché attraverso questa testimonianza il mondo potesse credere che il Padre lo aveva inviato. Ma la capacità di amarci e, quindi di crescere nell’unità, si attinge in Dio, fonte di perfetta comunione, attraverso la preghiera. Nella vita della prima comunità di Gerusalemme essenziale era il momento della frazione del pane, in cui il Signore stesso si rende presente con l’unico sacrificio della Croce nel suo donarsi completamente per la vita dei suoi amici: “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi. Questo è il calice del mio Sangue versato per voi”. La Chiesa vive dell’Eucaristia. La comunione al sacrificio di Cristo è il culmine della nostra unione con Dio e in essa si costruisce anche la pienezza dell’unità dei discepoli di Cristo. La preghiera è da sempre l’atteggiamento costante dei discepoli di Cristo, ciò che accompagna la loro vita quotidiana in obbedienza alla volontà di Dio, come ci attestano anche le parole dell’apostolo Paolo, che scrive ai Tessalonicesi nella sua prima lettera: “State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi” (1Ts 5, 16-18; cfr. Ef 6, 18). La preghiera cristiana, partecipazione alla preghiera di Gesù, è per eccellenza preghiera filiale. Attraverso di essa noi ci rivolgiamo, come fratelli e sorelle, al Padre comune. Porsi in atteggiamento di preghiera significa pertanto anche aprirsi alla fraternità. Solo nel “noi” possiamo dire “Padre Nostro”. Apriamoci dunque alla fraternità, che deriva dall’essere figli dell’unico Padre celeste, disponendoci sempre al perdono che risana ogni divisione.