di Francesco Polizzotti – Qualche giorno fa si è conclusa la 50ma Settimana sociale dei cattolici italiani, quest’anno riuniti a Trieste sul tema: “Al cuore della democrazia”. Nei giorni in cui si tenevano in Francia le elezioni per il secondo turno dei ballottaggi, che passeranno alla storia per aver fermato l’avanzata di una destra sovranista e contraria ai riferimenti alti dei diritti universali ed ivi della solidarietà tra i popoli e quello sguardo alto sui fenomeni che non può permettersi ricette facili e sempre a discapito degli ultimi, a Trieste si è dato spazio al valore dei luoghi comunitari, quelli a misura d’uomo, in cui poter sperimentare processi partecipativi e coltivare relazioni significative, “tenendo conto dei tempi concessi da vite sempre più frenetiche e a rischio di dispersione”.
Già dalle riflessioni dei 2000 partecipanti al percorso preparatorio verso la cinquantesima Settimana Sociale dei Cattolici in Italia (Trieste, 3-7 luglio 2024) emergeva uno spaccato incoraggiante sulle ricadute sociali dell’impegno corale dei cittadini – nelle associazioni, nelle buone pratiche – ma anche uno sguardo lucido riguardo i fattori che possono ostacolare e frenare la partecipazione. Partecipare ad un’azione sociale nella prospettiva del bene comune crea coesione, infonde motivazione e accresce le competenze personali, favorisce lo sviluppo della capacità di coordinamento, rende le iniziative più incisive socialmente e politicamente.
Quanti si impegnano e invitano altri a farlo per costruire bene comune con tutti, si leggeva nel report dei percorsi, sembra dire a gran voce che quel che infonde energia alla democrazia è molto più il “contare” che non il “contarsi”: il potere (kratos) del popolo (demos) non è tanto una questione di processi o meccanismi di voto per individuare i propri rappresentanti nelle istituzioni e men che meno di consultazioni plebiscitarie e dirette su questioni specifiche, ma di tessitura di legami sociali, di qualità nelle relazioni orizzontali di cooperazione e verticali di sintesi e coordinamento. Emerge una potente attesa di rianimazione e cura dell’“intermedio”: dei luoghi comunitari, a misura d’uomo, in cui poter sperimentare processi partecipativi e coltivare relazioni significative, tenendo conto dei tempi concessi da vite sempre più frenetiche e a rischio di dispersione.
C’è da chiedersi se i frutti di questa tappa della Chiesa italiana e dei cattolici italiani possa avere il suo sperato seguito. Non occorre certamente scoraggiarsi ma i precedenti restano lì più ad indicare le mancate partenze che le false di partenze. Il laicato cattolico e i credenti sono tessitori di importanti contenuti e puntualmente offrono alla società italiana riflessioni e proposte che toccano il concreto delle comunità. Tuttavia, permane un velo di diffidenza quando queste proposte provano a farsi strada nelle parrocchie, nelle comunità ecclesiali, nelle comunità religiose. Anche il cammino sinodale mostra la sua dimensione operativa solo nelle mosse di alcuni Vescovi illuminati che parallelamente alla chiamata universale hanno dato vita a sinodi diocesani e iniziative dedicate proprio alla partecipazione. Così come gli uffici diocesani, nelle diverse forme con cui siamo abituati a considerarli, stentano a tradurre le intuizioni e le conclusioni dei grandi eventi ecclesiali in pratiche e in processi di cambiamento culturale delle comunità stesse.
Resta la gratitudine per i Pastori che pongono il proprio ministero come occasione di familiarità e di condivisione delle sorti di ogni persona.
Nelle parole di ringraziamento rivolte da Mons. Luigi Renna, Presidente del Comitato Scientifico e Organizzatore, in occasione dell’incontro di Papa Francesco con i Congressisti al Generali Convention Center di Trieste, a conclusione della Settimana Sociale, troviamo la più bella intenzione che i cattolici italiani possano considerare quale programma prima di tutto di vita ordinaria e poi di impegno socio-politico su cui faremmo bene a ritornare ogni volta che avvertiamo certo smarrimento: “Si apre ora il tempo della responsabilità per far sì che la vita democratica non lasci indietro nessuno e non smetta di essere inclusiva e rispettosa della dignità di ciascuno. Abbiamo raccontato, con parole e attraverso le tante buone prassi in atto nel nostro Paese, che l’alfabeto della democrazia è già presente nella nostra quotidianità e che anima l’amicizia sociale attraverso il dialogo. Abbiamo anche sperimentato che «essere parte del popolo è far parte di una identità comune fatta di legami sociali e culturali” (Fratelli tutti, 158), oltre che di fede.
“In questo momento in Italia c’è sicuramente un grande disorientamento su quello che la politica fa; c’è una conflittualità che è ritenuta eccessiva e di fronte a volte alle schermaglie tra i partiti e tra i leader, i cittadini si rifugiano nel proprio privato perché non vedono la speranza. Ma questa mancanza di speranza non ci deve confondere; non dobbiamo pensare che i cittadini non desiderino più partecipare o non desiderino più un’offerta politica ricca. Evidentemente c’è il desiderio di testimoni, di unità, di cura per il bene comune che forse ancora oggi manca. Far crescere questa sensibilità anche tra chi già si impegna in politica è un modo per fare un servizio al Paese”. Così Sebastiano Nerozzi, segretario del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici in Italia, sintetizza al Sir il contributo offerto dalla 50ª edizione svoltasi a Trieste dal 3 al 7 luglio.
Alla Settimana sociale hanno partecipato, come sempre, persone che sono cittadini, continua Nerozzi. E la Chiesa non può non essere in uscita. Le comunità cristiane sono punti di riferimento nei territori per tutti, non solo per i cristiani; sono luoghi d’incontro. Vogliamo vivere più consapevolmente la dimensione di apertura, diventando sempre più una comunità accogliente, che essendo presente nei territori si fa carico dei bisogni, delle aspettative e cerca anche di valorizzare le risorse che sono sparse nei territori. Vogliamo essere una Chiesa sempre in dialogo che, nello spirito della lettera “A Diogneto”, vive nella città e fa vivere la città, assorbe anche dalla città quello che la città propone e può offrire in termini di risorse, riflessioni e competenze.
Il dialogo tra civile ed ecclesiale continuerà sicuramente, ogni stagione ha i suoi strumenti: quelli che stiamo cercando di mettere in campo sono un modo per parlare a tutti i cittadini, non solo ai cattolici.
“Siamo vivi. Qui a Trieste, nei rispettivi territori. Abbiamo avvertito la brezza dello Spirito, abbiamo compreso, insieme, che occorre partecipare”. Elena Granata, Vicepresidente del Comitato scientifico, interviene all’assemblea dei delegati della Settimana sociale, per individuare alcune “prospettive”. Indica la necessità di non dimenticare “ciò che abbiamo fatto qui”, perché c’è “il rischio” di ritenere che “sia stato tutto un sogno”. “Si tratta di continuare ad attenerci alla dinamica partecipativa che abbiamo sperimentato in questi giorni”. Occorre del resto “rialfabetizzarsi alla democrazia, e questo vale per ogni generazione”. Aggiunge: “L’elaborazione politica, l’agire pensante chiede un linguaggio nuovo, un pensiero che sta nella complessità, sviluppando competenze”. Partecipazione e democrazia chiamano in causa i “luoghi, perché non si può mai essere estranei rispetto ai luoghi in cui viviamo”. “Oggi a Trieste ci sentiamo spinti dalla ‘Fratelli tutti’. E non vorremmo che Papa Francesco debba scrivere una ‘Fratelli tutti 2’ perché non abbiamo messo in pratica la prima”. La professoressa Granata ricorda che i delegati hanno “sperimentato alcune formule”. Anzitutto “le piazze della democrazia, per mostrare come la democrazia deve tornare nelle piazze delle città”. Quindi segnala i “dialoghi tra le buone pratiche, spazi nuovi di messa in rete”, domandandosi “cosa possiamo fare per essere utili e sfidanti per la politica”. Cita infine la possibilità di “promuovere luoghi di confronto e discernimento” tra persone impegnate in politica.
A conclusione dei lavori della Settimana Sociale, in Piazza Unità d’Italia, Papa Francesco ha presieduto la Concelebrazione Eucaristica. posando lo sguardo sulle sfide che ci interpellano, sulle tante problematiche sociali e politiche discusse anche in questa Settimana Sociale, sulla vita concreta della nostra gente e sulle sue fatiche, possiamo dire che oggi abbiamo bisogno proprio di questo scandalo. Abbiamo bisogno dello scandalo della fede. Non abbiamo bisogno di una religiosità chiusa in se stessa, che alza lo sguardo fino al cielo senza preoccuparsi di quanto succede sulla terra e celebra liturgie nel tempio dimenticandosi però della polvere che scorre sulle nostre strade. Ci serve, invece, lo scandalo della fede, – abbiamo bisogno dello scandalo della fede – una fede radicata nel Dio che si è fatto uomo e, perciò, una fede umana, una fede di carne, che entra nella storia, che accarezza la vita della gente, che risana i cuori spezzati, che diventa lievito di speranza e germe di un mondo nuovo. È una fede che sveglia le coscienze dal torpore, che mette il dito nelle piaghe, nelle piaghe della società – ce ne sono tante –, una fede che suscita domande sul futuro dell’uomo e della storia; è una fede inquieta, e noi abbiamo bisogno di vivere una vita inquieta, una fede che si muova da cuore a cuore, una fede che riceva da fuori le problematiche della società, una fede inquieta che aiuta a vincere la mediocrità e l’accidia del cuore, che diventa una spina nella carne di una società spesso anestetizzata e stordita dal consumismo.
Una cosa però occorre non dimenticarla e ce lo dice il Papa: “La partecipazione non si improvvisa: si impara da ragazzi, da giovani, e va ‘allenata’, anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche”.