di Pasquale Cucchiara – La Sicilia, dopo l’8 Settembre del ’43, si era trovata già liberata dal nazifascismo. Dunque, non si può parlare di Resistenza in Sicilia ma diSicilia nella Resistenza. Si stima che siano stati oltre 5000 i siciliani che combatterono nelle brigate partigiane al centro/nord Italia.
Ma chi erano i partigiani siciliani? In primis, si trattò prevalentemente di militari sbandati dopo l’8 settembre e lo sfacelo dell’esercito italiano. I militari diedero consistenza, strategia militare e organicità alle formazioni partigiane. Non fu di certo un dettaglio secondario nel contesto di una guerra di movimento. Altri siciliani impegnati nella Resistenza furono gli emigrati. Infatti, molti isolani, prima della guerra, si stabilirono nel ricco e industrializzato nord Italia dove, con l’occupazione tedesca, non esitarono a lasciare i propri cari per ritrovarsi solidali nella clandestinità con le forze popolari per attuare, tutti insieme, l’insurrezione armata contro i nazifascisti. Infine, altri siciliani partirono dalle loro città di origine proprio per arruolarsi come partigiani. Quest’ultimi furono prevalentemente i vecchi e combattenti dirigenti politici dei partiti messi al bando dal regime.
Dunque, per tutti questi motivi, i partigiani siciliani si concentrarono soprattutto in Piemonte, Lombardia, Liguria e Emilia Romagna. Altre presenze significative si registrano in Toscana, Lazio e Abruzzo.
I partigiani siciliani più “famosi”
I partigiani siciliani si sono contraddistinti per diversi motivi. In Liguria, si misero a disposizione per il trasporto di armi e munizioni percorrendo, tramite “silenziosi muli” piuttosto che in sella a “rumorosi cavalli”, sentieri di montagna scoscesi e impervi al fine di rifornire logisticamente i capisaldi partigiani. I siciliani erano abilissimi ad utilizzare i muli in quanto venivano impiegati per i lavori agricoli mentre i giovani del nord, evidentemente, non avevano idea di come si cavalcasse un mulo.
Fra i partigiani siciliani più “famosi” rammentiamo il leggendario Pompeo Colajanni, protagonista della Liberazione di Torino, Girolamo Li Causi primo segretario del PCI siciliano, Placido Rizzotto, segretario della Camera del Lavoro di Corleone ucciso dalla mafia nell’immediato dopoguerra, Ignazio Buttitta, famoso poeta dialettale, i coniugi antifascisti e comunisti Salvatore Di Benedetto e Vittoria Giunti (siciliana d’adozione) di Raffadali, l’enigmatico esponente del MIS Antonio Canepa e, ultimissima scoperta, Michele Imbergamo, di Favara, uno dei volti più noti della Liberazione di Bologna.
Inoltre, è consultabile sul sito dell’ANPI nazionale un elenco dettagliato con i nominativi di tutti i partigiani e le partigiane che hanno ricevuto, a vario modo e a vario titolo, prestigiose decorazioni come “medaglie d’oro, argento e bronzo al valor militare. Molti di loro persero la vita sul campo di battaglia, per esecuzioni sommarie o per infami delazioni.
Le donne resistenti
Opportunamente, negli ultimi anni si è molto dibattuto sul ruolo della donna nella Resistenza. Recenti studi, dimostrano che, le donne si occupavano della stampa dei materiali di propaganda, attaccavano i manifesti e distribuivano i volantini, svolgevano funzione di collegamento, curavano il passaggio delle informazioni, trasportavano e raccoglievano armi, munizioni, esplosivi, viveri, indumenti, medicinali, svolgevano funzioni infermieristiche, preparavano i rifugi e i nascondigli per i partigiani. La partecipazione femminile alla lotta di Liberazione dal nazifascismo fu dunque ampia ed importante, ma difficilmente misurabile e valutabile per il ruolo nascosto e “dietro le quinte” che svolsero. Infatti, alla fine della lotta armata, la stragrande maggioranza delle donne non si fece avanti per ritirare medaglie e riconoscimenti. Per i motivi sovracitati, le donne siciliane che si rivelarono combattenti per la libertà non furono tantissime ma le loro biografie sono molto significative per impegno, determinazione e coraggio.
Le donne siciliane nella Resistenza furono esclusivamente emigrati o figli di emigrati.
La Resistenza e la destra
Un pò tutte le sfumature della destra italiana valutano l’anniversario della Liberazione d’Italia, come una ricorrenza divisiva.
Recentemente, i governi Berlusconi hanno provato, a più riprese, ad equiparare i militi
repubblichini, alleati di Hitler, ai partigiani mentre oggi Lega e Fratelli d’Italia non fanno altro che liquidare il 25 Aprile con battute inopportune e fuori luogo.
Questa condotta della destra va ricercata nella clamorosa mancata “Norimberga italiana”, di uno straccio di processo che avrebbe messo luce e posto all’attenzione dell’opinione pubblica i crimini contro l’umanità (torture, violenze, uccisione di ostaggi, donne e bambini per rappresaglia, deportazione di migliaia di cittadini in campi di concentramento) perpetrati dai fascisti in Etiopia, Libia, Jugoslavia, Grecia, Albania e, nel corso della Resistenza, anche in Italia. Criminali come Graziani, Roatta e tanti altri hanno attraversato la transizione democratica con la fedina penale pulita, spesso senza un regolare processo e con la complicità di uno Stato, mai veramente defascistizzato, che ha eluso la consegna dei criminali di guerra ai tanti paesi richiedenti fra cui anche Francia e Unione Sovietica. Anzi, i fascisti si sono ri-inseriti nel tessuto sociale e hanno avuto la possibilità di fondare il Movimento sociale italiano, con a capo Giorgio Almirante uno che, per intenderci, fu guardia nazionale repubblichina e capo gabinetto del ministero della cultura popolare della RSI.
In ultima analisi, la destra italiana che fa spallucce davanti al il 25 Aprile ferisce l’impegno e il sacrificio di tutti i partigiani, specie quelli “di centro-destra”, moderati, cattolici che diedero un contributo significativo nella lotta di Liberazione contro l’oppressore nazi-fascista.
Gli antifascisti di quest’epoca devono lavorare, ancora più intensamente, per riaffermare lo spirito “originario” e fortemente unitario del 25 Aprile.
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