• 29 Aprile 2024 17:23

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

Luci a San Pietro. Roberto Vecchioni ride di gusto alla battuta e a sua volta ribatte: “Qui le luci durano tanto di più. E speriamo durino ancora a lungo”. Il cantautore è stato protagonista ieri sera, 21 novembre, della seconda Lectio Petri nella Basilica Vaticana, insieme con i cardinali Mauro Gambetti (arciprete della Basilica stessa), Gianfranco Ravasi (che ha tenuto la Lectio vera e propria), la storica Emma Fattorini e l’attrice Beatrice Fazi, che ha dato voce da par suo ad alcuni passi degli Atti degli Apostoli, poi commentati da Ravasi.

“Sì, San Pietro è una luce anche per me – confida Vecchioni ad Avvenire – È una figura meravigliosa. Mi piace perché è un uomo fallibile, vero. Non è uno che sta dietro Cristo per pura piaggeria. Sbaglia e sa chiedere perdono e questo ce lo rende vicino. E poi il brano degli Atti degli Apostoli di cui parliamo in questa Lectio Petri, dove proprio Pietro afferma che Dio non fa preferenze di persone, è ante litteram in tanti modi.

Rivoluzionario per la sua epoca, sicuramente. Ma forse anche per la nostra.

Per la nostra è un esempio fantastico. Qui parliamo anche del Concilio di Gerusalemme (quello che doveva decidere se i pagani che si convertivano al cristianesimo dovessero anche essere circoncisi, ndr) ed è una bella lezione anche per il mondo contemporaneo, perché mostra due grandi personalità Pietro, il pescatore, e Paolo, dotato di cultura superiore, che si scontrano su idee diverse, ma poi arrivano a un accordo per il bene di tutti. Mi piace molto il libro degli Atti degli Apostoli perché attualizza e mette in pratica quello che Cristo aveva insegnato nel Vangelo. Pensate a quali difficoltà dovettero affrontare Pietro e gli apostoli per annunciare quell’insegnamento. Non avevano certo l’appeal di Gesù, molti erano ignoranti. Eppure, la fede batte l’ignoranza e qui vediamo lo Spirito di Dio che entra dentro di loro.

Com’è il suo rapporto con la fede?

Sono un credente, ma ho avuto una lenta costruzione della mia fede. E in questo cammino mi sono reso conto progressivamente che tutto ciò che capita ha una recondita ragione, anche il dolore. Penso che tutto ciò che ci capita nella vita non debba essere considerato come una finalità, ma come un segno. Anche il dolore è un segno. Non è la contro-finalità, il male che vince. È un segno. Da assumere e interpretare.

Poi nella croce il dolore diventa salvezza. Come insegna appunto San Pietro.

Eh, sì. E infatti va a farsi crocifiggere a testa in giù, come segno di profonda umiltà verso il Signore. Non si può uscire da questa logica. O i primi cristiani erano tutti veramente innamorati di Cristo, o erano dei pazzi. Io non credo fossero dei pazzi.

Lei ha mai pensato di scrivere una canzone su San Pietro?

No. Ma ho scritto diverse canzoni sul tema della fede. La più famosa è “La stazione di Zima” (titolo preso da una raccolta di poesie del Nobel russo Evgenij Aleksandrovič Evtušenko), in cui racconto l’incontro con Dio sul treno. Ma ne ho fatte parecchie, un po’ arrabbiate all’inizio, ma queste sette otto canzoni sono una specie di itinerario, di maturazione per cercare di capire che razza di Dio c’è nel cielo, se succedono le cose brutte che vediamo ogni giorno. Poi mi sono interrogato sulla figura di Giuda e sul mio essere uomo sulla terra prima di andare (speriamo) in paradiso. Io penso che possiamo incontrare Dio anche nelle piccole cose di ogni giorno. Fino ad arrivare a “Le rose blu”, che è il brano che amo di più ed è un dialogo con Dio il giorno in cui ho saputo che mio figlio era malato di sclerosi multipla. Non per chiedergli qualcosa, ma per dirglielo e basta. Perché, secondo me, la peggior preghiera è quella per chiedere qualcosa, mentre la migliore è per parlare con Dio e dirgli: “Sei informato di questo?”. Dirglielo e basta. Ci pensa Lui, poi.

Un suo collega cantautore dice “hai un minuto, Dio?”

Sì, bravo Luciano Ligabue.

E un altro ha scritto “La Buona Novella”. Questo ciclo di canzoni sulla fede è un po’ la sua Buona Novella?

Fabrizio De André ha scritto un disco meraviglioso, anche se si diceva non credente. Forse è quasi assente Cristo, ma la figura di Maria è indimenticabile. E poi ci sono i peccatori, i due ladroni, le madri, tutte cose molto umane. Io parto da un altro presupposto, ma l’umanità della fede, come ad esempio in San Pietro, interessa anche me.

Lei ha insegnato tanti anni. Come parlare della fede ai ragazzi di oggi?

Non è facile. Sembrano infastiditi dal principio. Bisogna trovare un aggiramento. Sono cadute molte certezze e non ci sono più maestri che loro riconoscano come tali. È tutto in penombra e poi c’è il problema dell’invidia e della superbia. Cioè, di chi si crede superiore agli altri. Popoli anche, non solo persone. Tutto questo genera una complessità intellettuale che non permette mai accordi, le tesi non hanno antitesi vere e proprie. E non si arriva mai a un accordo, come invece avviene tra Paolo e Pietro nel Concilio di Gerusalemme. Non sto parlando solo di destra e sinistra, ma di mentalità diffusa. Il mondo è diventato di un egoismo pazzesco. Manca l’altro. E finiamo per brancolare nella nebbia. Io credo che dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi a riscoprire l’anima. Dopo un secolo di esistenzialismi sterili, serve una boccata di ossigeno spirituale.

(fonte Avvenire)