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Come vivono il Natale i detenuti? risponde Fra Carmelo Saia cappellano del carcere Ucciardone

Diilsycomoro

Dic 22, 2023

In questo tempo di Natale fatto di attese, doni, dolciumi e riti religiosi, il giornale online  portadiservizio.it propone una riflessione sulla vita e sul tempo che i detenuti trascorrono nelle carceri del nostro territorio. Una riflessione sulla situazione carceraria, sul tempo che in quei luoghi assume un senso diverso.

Per i carcerati il tempo scandito da scelte è solo un ricordo, per alcuni di loro resta un tempo caratterizzato dalla voglia di riscatto e desiderio di libertà. A rispondere alle domande di Adele Di Trapani è fra Carmelo Saia, dell’ordine dei Frati Minori Cappuccini, cappellano Istituto penitenziario Ucciardone di Palermo.

Nelle carceri il tempo pare non passare mai, penso al tempo che scorre in quei luoghi. Un tempo, quello dei detenuti fatto di attese rassegnate, speranze improvvise delusioni. Fra Carmelo, quante sono le persone che vivono all’Ucciardone di Palermo?

Fra Carmelo: All’Ucciardone vi sono 500 detenuti, con la presenza di alcuni stranieri. Il tempo segnato dagli orologi appesi alle pareti delle carceri è un tempo particolare. A differenza nostra, che siamo presi dalle mille cose da fare, soprattutto in questo tempo di Natale, dove sembra che il tempo non ci basti mai, all’interno del carcere il tempo viene vissuto in un’altra maniera. È un tempo di attesa, ma chiediamoci di che cosa. Non solo di uscire da quel ambiente, ma soprattutto è l’attesa di un riscatto, di dare un senso alla vita e agli errori che hanno fatto. Se non c’è questa attesa molti di loro, corrono il rischio di vivere un tempo morto.

Cosa si può fare concretamente per rendere più umano e più dignitoso il tempo che i detenuti trascorrono.

Fra Carmelo: Io baserei tutto il tempo tra lavoro e scuola. Infatti molti detenuti sfruttano questo tempo sospeso, iniziando a studiare. Mi viene in mente un detenuto che ha ricevuto la cresima la scorsa settimana al quale ho detto che si stava assumendo l’impegno di vivere da vero cristiano e che gli auguravo di diplomarsi. Lui mi ha guardato, con gli occhi pieni di lacrime, ricordando che il padre gli ripeteva sempre l’importanza dello studio. Mi ha fatto la promessa di uscire dal carcere con il diploma. Questo può diventare un tempo di riscatto.

Qual è l’approccio di una pastorale a favore della fragilità e quali sono nello specifico i progetti all’interno del carcere dell’Ucciardone.

Fra Carmelo: Riguardo la fragilità dovremmo lavorare di più sulla prevenzione. Viviamo in una società che sta cambiando i valori, che non conosce più il rispetto dell’umano. E quello che io nel carcere cerco di fare è salvare la dignità della persona, al di là del male che ha commesso, che di certo non possiamo dimenticare o cancellare, ma ricordare sempre che, nonostante tutto si è persone ad immagine e somiglianza di Dio. In carcere portiamo avanti dei laboratori, alcuni dei quali autobiografici, in cui viene attenzionata la storia della loro vita e non la causa del reato. Ci sono le catechesi aperte a tutti e nella massa c’è chi ha il desiderio di sentirsi amato e ricercato da Dio e allora, si mette in discussione. Penso che si potrebbe fare molto di più, ma tra la mancanza di personale e i locali non adatti le difficoltà sono tante.

Secondo lei quali sono i cambiamenti positivi che si sono registrati in questi anni e quali le criticità, come ad esempio da un lato il sovraffollamento, dall’altro la sicurezza della società o i diritti negati.

Fra Carmelo: I cambiamenti sono l’uscita dall’anonimato. Il fatto che se ne parla, e il Papa va spesso a visitare le carceri, questo è molto bello. Anche il nostro arcivescovo, Corrado Lorefice, è molto sensibile a questa tematica, e ha celebrato la prima Messa (quando si è insediato a Palermo) proprio nel carcere con i detenuti. Con grande sorpresa e meraviglia di tutti ha anche affermato che il carcere era la sua prima Cattedrale. Mi piace, inoltre, sottolineare che i detenuti hanno un forte legame con il nostro Arcivescovo. I detenuti hanno bisogno di una seconda possibilità. All’Ucciardone non c’è un problema di sovraffollamento. Oggi si parla tanto di giustizia riparativa e tanti progetti, ma il dramma è che, se non ci si lascia toccare il cuore dalla misericordia non ci può essere perdono, né riscatto sociale.

Quale futuro possiamo proporre a chi è in questi luoghi?

Fra Carmelo: Io gli darei la possibilità vera di entrare nel mondo del lavoro.  Di recuperare il male fatto e far comprendere alla società che c’è un uomo al di là del reato. L’obiettivo deve essere il reinserimento sociale, garantendo la sicurezza sociale.

Le carceri vengono considerate da molti l’enclave del male, dove regna un clima di violenza. Avrà ascoltato tante storie e tanti volti le saranno rimasti dentro. Cosa le hanno lasciato?

Fra Carmelo: È vero, il carcere è il contenitore del male, ma dall’altra parte dal punto di vista evangelico, nel recinto delle pecorelle smarrite noi dobbiamo vedere il volto di Dio sofferente. Se posso aggiungere un’ultima cosa, mi rimane dentro tanta delusione, quella dei contesti di dove sono nati e cresciuti; tanta povertà educativa, culturale, affettiva e sociale. Dei volti che incontro mi porto dentro il loro desiderio di sentirsi utili, di sentirsi vivi. A volte la violenza è uno strumento per dire “è l’unica cosa che so fare”. E quando io gli dimostro che c’è tanto altro da fare, tanto bene da potere compiere…. allora si mettono a disposizione e colgo nel loro cuore la loro sensibilità.

(fonte portadiservizio.it – Adele Di Trapani)