• 21 Maggio 2024 3:32

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

Commento di Fra Marcello Buscemi e Suor Cristiana Scandura

Mercoledì della XXXII settimana del Tempo Ordinario

Letture: Sap 6,1-11; Sal 81; Lc 17,11-19

Riflessione biblica

“Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?” (Lc 17,11-19). L’attenzione non è sul miracolo: Gesù di lebbrosi ne ha guarito parecchi. Ciò che Luca sottolinea è il rapporto che il lebbroso samaritano ha instaurato con Gesù. Non è solo un rapporto di interesse: essere guarito dalla lebbra. Egli gridò con tutti gli altri: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!”, riconoscendo che Gesù agiva con misericordia ed autorità: “Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?” (Lc 4,36). Egli, con gli altri nove, obbedì al comando di Gesù e andò dai Sacerdoti non solo per essere guarito, ma anche purificato ed essere riammesso nella società del popolo di Dio. A differenza degli altri, egli ha compreso che la sua guarigione era opera di Dio, che si era manifestata attraverso Gesù. E volle ringraziare l’autore della sua guarigione: “Si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo”. La sua fede divenne lode e ringraziamento. Ringraziare è importante per la vita spirituale. Il ringraziamento stabilisce un rapporto personale: esprime gratitudine, umiltà, comprensione della salvezza ricevuta. Ringraziare è l’espressione semplice, spontanea e continua della fede matura che riconosce in Gesù il fondamento unico e necessario per compiere il nostro cammino di santità. Ringraziare è riconoscere che senza Gesù non c’è santità; solo rimanendo uniti a lui, come il tralcio alla vite, costruiamo la nostra esistenza come “eucaristia vivente”, rendiamo lode a Dio e siamo riconoscenti per tutti i suoi benefici. Ringraziare è stabilire un rapporto di amore con Gesù: camminare con Gesù, soffrire con Gesù, gioire con Gesù, saper riconoscere Gesù nei poveri e nei bisognosi, ma soprattutto condividere con lui il suo mistero di morte al peccato e di risurrezione alla vita nuova fondata sull’amore che ci rende più umani e ci apre alla grandezza della vita divina.

Lettura esistenziale

“Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano” (Lc 17, 15-16). Gesù si sta dirigendo verso Gerusalemme e non evita di passare attraverso la Samaria, una terra che, secondo il sentire di Israele, era considerata infedele. Dieci lebbrosi che la sofferenza tiene uniti, pregano Gesù di guarirli. Tutti e dieci ricevono la grazia richiesta ma uno soltanto, e per giunta un Samaritano, sente il bisogno di ringraziare. Dieci furono guariti, ma uno solo salvato. Il Samaritano riceve la salvezza, cioè la completa guarigione del corpo e dello spirito, perché interpreta l’evento della sua purificazione dalla lebbra alla luce di Dio. Riconosce che Cristo è all’origine della sua guarigione e torna indietro rendendo lode a Dio e prostrandosi ai piedi di Gesù. Solo quando la preghiera ci cambia dentro è una vera preghiera, finché preghiamo solo per ottenere una grazia la nostra preghiera non si discosta molto dal modo di pregare dei pagani. La gratitudine di quest’uomo dimostra la vera riuscita del miracolo. I piccoli e i poveri non hanno pretese, per questo sanno accorgersi più degli altri della bontà, del dono, della gentilezza, della gratuità, e sanno esserne riconoscenti. Ed è proprio questo atteggiamento del Samaritano che Gesù loda. Ci sono dei cambiamenti belli, delle guarigioni nella nostra vita, che rischiano di passare inosservate al nostro sguardo distratto. A volte è più facile soffermarsi su ciò che manca, piuttosto che su ciò che cambia e cresce. Tornare da Gesù per ringraziarlo, come fa lo straniero di Samaria, vuol dire saper contemplare l’opera di Dio nella nostra vita ed esserne riconoscenti.