• 24 Giugno 2025 12:41

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Migranti, mons. Lorefice: “non sono un vero cristiano se non ho la consapevolezza che ogni volto umano mi appartiene”

“Non sono un vero cristiano se non ho la consapevolezza che ogni volto umano mi appartiene”. Lo ha detto mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo e vescovo delegato per le Migrazioni della Conferenza Episcopale Siciliana (Cesi) partecipando alla due giorni della Commissione regionale per la Migrazione che si è svolta a Bagheria per fare il punto sul viaggio che la Commissione ha fatto, nel febbraio scorso, a Lampedusa  e su ciò che “occorre fare per individuare e costruire nuove piste pastorali in tema di migrazione e mobilità umana, in un tempo in cui tutto sembra essere pensato non per accogliere, ma per respingere l’altro”, spiega il direttore regionale Santino Tornesi.

Nell’intervento introduttivo mons. Lorefice, prendendo spunto dall’esperienza lampedusana e dal “valore messianico” di quella comunità – capace di farsi carico della sofferenza dell’altro nei giorni della grande emergenza del 2011 – ha tracciato un excursus sul papato di Francesco, partendo da quella data simbolica dell’8 luglio 2013. Un viaggio che ha avuto “una prospettiva internazionale e che ha sollevato domande che, ancora oggi, devono attraversare i cuori non solo dei cristiani, ma anche di coloro che reggono le sorti della casa comune”. “Non possiamo non cogliere – ha evidenziato il presule –  che nel travaglio della mobilità, nella difficoltà e nel dolore di chi tenta di attraversare i Balcani o solcare il Mediterraneo in cerca di vita e di speranza, vi sia un autentico segno dei tempi”.

Esattamente come accadde nel 2011, quando Lampedusa e i lampedusani vissero sulla propria pelle l’urto di un’esperienza epocale. Lo hanno raccontato Nino Arena ed Elena De Pasquale, cronisti volontari dell’Ufficio Migrantes di Messina, presenti anche in occasione della visita della Commissione nel febbraio scorso. Entrambi hanno sottolineato come oggi l’arcipelago delle Pelagie si “senta orfano, e forse anche un po’ smarrito, rispetto a un modo di vivere l’accoglienza ben diverso da quello del periodo dell’emergenza Nord Africa. Allora, aprire le porte di casa per offrire ospitalità era la norma, non l’eccezione. Perché la parola d’ordine era umanità. Un’umanità che oggi, invece, risulta imbrigliata entro rigidi protocolli organizzativi che impediscono l’incontro, la prossimità, lo sguardo reciproco. Tanto che – denunciano – si rischia di perdere del tutto la percezione di ciò che accade a pochi passi da casa, proprio su quel molo dove il dolore è visibile nei volti di chi sbarca”.

Tante le testimonianze raccolte in questa due giorni come quella della focolarina Donata Genovese che dal settembre 2023 vive nell’arcipelago con altre due consorelle, per mettersi a servizio della comunità. “Una volta arrivate – ha detto – ci siamo rese conto che la realtà è molto diversa da come l’avevamo immaginata. È difficile offrire un aiuto concreto ai migranti, perché non c’è quasi più occasione di incontro: arrivano al molo Favaloro e in pochi minuti vengono caricati sui pullman della Croce Rossa e trasferiti all’hotspot di contrada Imbriacola. Abbiamo deciso di partecipare alla Commissione per capire, attraverso l’ascolto e il confronto, come possiamo essere comunque utili”.