• 2 Maggio 2024 8:19

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

Ministro Generale Frati Minori sul V Centenario nascita di S. Benedetto da San Fratello: “San Benedetto il Moro, memoria di Vangelo”

Pubblichiamo il messaggio del Ministro Generale dei Frati Minori Fra Massimo Fusarelli in occasione del V Centenario della nascita di San Benedetto da San Fratello, indirizzato ai Frati Minori di Sicilia. Messaggio che ci aiuterà a conoscere questo grande uomo di Dio che ha saputo incarnare in Vangelo.

La figura e il messaggio di San Benedetto da San Fratello detto il Moro all’inizio del V centenario della sua nascita (1524-2024), sono al centro del vostro incontro di questo anno. Il devastante rogo dello scorso 29 luglio ne ha gravemente danneggiato il corpo incorrotto e, come ha scritto un quotidiano nazionale molto laico, “Possano le tue ceneri, oggi liberate nell’aria di Palermo, viaggiare sempre per il mondo e coltivare il pensiero proibito della libertà” Aggiungerei: “possano le tue ceneri oggi liberate nell’aria di Palermo. viaggiare e coltivare il pensiero proibito del Vangelo, di una vita secondo il Vangelo, come San Francesco ha ricevuto dall’Altissimo e quindi ci ha indicato di vivere”

Proprio oggi a Fonte Colombo viene chiuso dalla Provincia di San Bonaventura il centenario della Regola e a Greccio quello del Natale di San Francesco. Quest’anno abbiamo potuto approfondire come questi due primi passi del Centenario francescano ci abbiano ricordato che il Vangelo è il nucleo della vocazione dei fratelli e minori. La strada è quella dell’umiliata bassezza (la vilitas di santa Chiara) che Gesù ha scelto fin dalla nascita, sino alla morte di croce e la sua memoria resta viva nell’eucarestia e in quel sacramento di Cristo che sono i poveri.

La strada di Greccio è aperta verso la Verna. Francesco ha compreso che la vita si gioca nella fragilità di un bambino appena nato e in un pezzo di pane donato. E la vita ci viene donata per essere spesa, come il pane. E sull’altare della vita quotidiana che ogni giorno il Signore discende nella “poca apparenza” della nostra umanità. E ci chiede di seguirlo, restando in basso, fedeli a quella via che lui ha scelto per primo, fino a diventare lui stesso la nostra via. Veramente possiamo dire che in un certo senso Greccio ha preparato Francesco a salire alla Verna. Si spalanca quindi per noi l’inizio del centenario delle Stimmate, che inaugureremo proprio fra due giorni nel “crudo sasso” del Casentino.

Devo solo ricordare che questi elementi del Centenario francescano, che stiamo celebrando sono memoria dei nuclei essenziali del nostro carisma, che è una realtà viva, perché appartiene allo Spirito e resta contemporanea nella misura in cui la teniamo a contatto con i segni dei tempi, con la realtà, con il mondo che Dio ha tanto amato da dare il suo Figlio unigenito. Vangelo, cammino umile di Cristo, poveri: provo a cercare con voi ispirazione per questi tre nuclei nella vita e nella testimonianza di San Benedetto il Moro.

Il Vangelo libera dalle catene

È nella sua carne nera di figlio di discendenti di schiavi etiopi che Benedetto ci dice la prima parola del Vangelo. Schiavo figlio di schiavi. “O scavuzzu” per il popolo, che addolciva con il diminutivo quello stigma che non gli avrebbe consentito mai, secondo il diritto canonico e la cultura del tempo, di essere santo. E nemmeno appartenente ad un ordine religioso, in questo caso a quello francescano.

Proprio lui ci ricorda che tutti siamo chiamati ad essere figli di Dio. “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28).

Una parola sulla condizione di schiavitù ci illumina. Dobbiamo riconoscere con dolore che per lunghi secoli la coscienza dei cristiani, anche in Italia, ha inteso questa parola con una certa ambivalenza: da una parte l’affermazione che tutti gli uomini sono fratelli e uguali dinanzi a Dio; dall’altra il riconoscimento della legittimità della schiavitù come struttura che fa parte del tempo presente. C’erano sempre delle voci (e non furono poche) che si levarono in favore degli schiavi. L’affermazione di principi etici ha favorito, anche se molto lentamente, il cambio degli istituti giuridici, in questo caso passati dal diritto romano a uno cristianamente ispirato.

Con queste premesse, teniamo conto del fatto che il sistema della schiavitù non è rimasto solo un fenomeno atlantico che ha toccato le Americhe, ma anche il bacino mediterraneo. Non è facile diventarne consapevoli, anche se studi approfonditi ne dimostrano la realtà. Tra il sec. XVI e il XVII si contano in Italia tra i 50 e i 100 mila schiavi, di vario genere. Dalla schiavitù di remi a quella domestica, vari erano i suoi fronti. Lo scenario era internazionale. Dai primi decenni del Cinquecento e sino alla metà del secolo dalla penisola iberica e direttamente dalle basi spagnole (plazas de soberania) sulle coste maghrebine, in particolare da Tripoli, si attivò un traffico di schiavi neri verso l’Italia, anzitutto verso la Sicilia, dal cui viceré la piazzaforte di Tripoli dipendeva. In Sicilia si concentrò una presenza di africani, valutata fra il 4 e 1’1,5 per cento rispetto alla popolazione dell’isola (5()mila individui nel primo caso, su oltre un milione e 200mila abitanti, ovvero 12.500). In quel periodo alcuni signori siciliani disponevano di un gran numero di schiavi neri.

In Sicilia il passaggio dalla teoria elaborata in via interpretativa dalla Chiesa cattolica alla codificazione in testi aventi valore di legge avviene con Federico III che, nei “Capitula” fatti approvare nel parlamento tenutosi a Piazza Armerina nel 1308, mette a punto un complesso organico di norme che disciplinano lo status del “servus” il quale si converte al cristianesimo grazie al sacramento del battesimo. Questo valeva anche al tempo di frate Benedetto. Questa realtà continuerà sino al sec. XIX. Sarà solo quando la Sicilia perderà il legame con i regni barbareschi del Nord Africa a causa dell’influenza inglese sul Mediterraneo, che la schiavitù inizierà il suo declino. Non si trattava dunque di presenze sporadiche, ma inserite nel reticolo sociale di allora. Possiamo dire anche che la presenza di tanti schiavi ha senz’altro lasciato dei segni nel nostro patrimonio genetico e culturale. Insomma, Benedetto è uno di noi!

Possiamo vedere come, proprio in un contesto tanto segnato dalla schiavitù, la parola di Dio abbia agito del cuore dei cristiani. San Benedetto ha imparato a essere cristiano anche tra le umiliazioni dovute alla sua evidente origine e alla sua condizione umiliata di schiavo. Il suo primo agiografo, il Daca, lo scrive chiaramente nel 1611 “Nacque negro e schiavo… siguiendo la condicion de su madre nacio negro y esclavo”. Fructus secuitur ventrem, e quindi la madre trasmette la condizione di schiavitù al figlio, come se le catene fossero anticipate dal cordone ombelicale. Eppure, la realtà della fede e del carisma di Francesco ha trasceso questa situazione e rotto vincoli che sembravano intoccabili.

Per questo i frati hanno saputo riconoscere i suoi doni e le sue virtù al di là di questa appartenenza, accogliendolo all’Ordine fino a nominarlo guardiano e maestro dei novizi, a riconoscergli quindi l’autorevolezza per guidare la fraternità. Non solo. Personaggi importanti della società civile e religiosa dell’epoca, sono ricorsi a lui come consigliere fidato, superando le barriere del colore, della cosiddetta razza e dei pregiudizi che c’ erano e ci sono ancora. Il Vangelo attraversa le culture, ne rivela la parte migliore e permette un’apertura alla novità. Questa mi sembra la prima parola che ci da San Benedetto. E che ancora oggi resta molto importante per noi.

La sequela di Cristo povero

San Benedetto ci porta ancora al cuore del Vangelo perché ha scelto decisamente la condizione umiliata di Cristo, il quale non “non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo” (Fil 2,6-7). Possiamo dire che la sua strada per vivere in stato di conversione/ penitenza permanente sia stato proprio assumere la sua condizione socialmente svantaggiata come uno spazio nel quale seguire Gesù Cristo ed entrare nella sua forma di vita. Benedetto ci mostra come non ci sia condizione e situazione della nostra umanità che non ci permetta di vivere secondo 1a logica battesimale, che ci porta a dire con san Paolo “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me!” (Gal 2,20). Ieri il vangelo di Giovanni nella liturgia ci ha mostrato il Precursore che parla di sé solo in riferimento a Colui che deve venire, il Cristo. Giovanni sa parlare di sé solo in riferimento a Cristo. Tra due giorni apriremo alla Verna il Centenario delle Stimmate e non faremo forse memoria proprio di questo cammino compiuto da Francesco?

L’incontro con i poveri

“Facere misericordiam” è stata la via che Francesco ha percorso con i lebbrosi e i poveri per vedersi finalmente aperta la via del Vangelo. Benedetto li ha incontrati e serviti mentre era ancora in famiglia e dopo la sua scelta religiosa ancor più. Il frate compie tante guarigioni e moltiplica il pane per i poveri. Intanto cura i malati e svolge i lavori più umili. La sua fama si diffonde da Palermo fino ad Agrigento. Folle di fedeli si recano da lui per consultarlo: poveri e ricchi, maestri di teologia, potenti del clero e della politica. Clamorosi alcuni suoi miracoli. A causa di una grande nevicata i frati non possono andare a chiedere l’elemosina e il convento non ha più nulla da mangiare. Benedetto fa riempire alcune vasche d’acqua e confidando sulla “Divina Provvidenza” prega. Il mattino dopo le vasche sono colme di pesci guizzanti.

Nonostante dedichi la sua vita a servire anche nei lunghi anni del convento di Santa Maria di Gesù, fa il cuoco e si dedica ai lavori più umili, la sua fama cresce tra il popolo e tra gli schiavi neri. I poveri riconoscono chi vive nella verità e chi condivide con loro la vita, senza limitarsi a fare qualcosa per loro. Per questo è presto considerato un santo in vita, oggetto di continue richieste di guarigioni. I santi fanno percepire prossima la tenerezza del Padre. Non è un caso se i fedeli palermitani, prima ancora di una indicazione da Roma, trasleranno il suo corpo dal cimitero comune del convento, all’interno della Chiesa, come si fa con i santi già canonizzati. Il culto del santo schiavo in pochi decenni è presente in tutta Europa e oltre atlantico.

Con il Vangelo e la persona viva di Gesù, i poveri sono la cartina tornasole della nostra fede. L’incontro con loro ha deciso la conversione di Francesco e resta al cuore di ogni opzione di vita di sequela, come i fondatori e fondatrici ci testimoniano. Non possiamo scappare da questo “caso serio” della fede e della vocazione. Cosa vuol dire questo oggi per noi concretamente? Il centenario di san Benedetto possa aiutarvi/ ci a fare un altro passo in questo senso.

Conclusione

Confesso che mi avete dato l’occasione di incontrare san Benedetto da San Fratello e di conoscerne qualche tratto. Ne sono molto stupito e edificato. Non lo conosciamo ed è un peccato. Vedo con i miei occhi la devozione per lui soprattutto in Brasile e in altri paesi di America Latina, dove mai manca la sua immagine nelle nostre chiese e non solo. Si tratta senz’altro di una sorta di identificazione dei poveri con lui. Non solo. Lo Spirito creatore sa come dispiegare la testimonianza dei santi, oltre loro stessi, perché la loro vita li trascende e ne fa un segno della vita nuova di Cristo che anticipa il rinnovamento universale di tutte le cose.

Contattare la santa operazione dello Spirito del Signore nella vita di un testimone come Benedetto e quindi in noi, è un cammino permanente di crescita nella fede e nella sequela di Cristo povero e crocifisso.

Vi auguro proprio di fare di questo centenario un cammino di rivisitazione del carisma, con dei segni concreti di scelte e di vita. Ricostruire la chiesa che custodisce le sue spoglie non basta se insieme non si ricostruisce quella casa che siamo noi, la nostra vita di uomini, di fratelli e minori e insieme la casa della convivenza sociale e religiosa della bella città di Palermo.

Possa san Benedetto sostenere il cammino di continua ripresa e rinascita di Panormus, con l’apertura che le appartiene e che è garanzia di vita e di futuro.

Inizio del V Centenario della nascita – 3 gennaio 2024