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Sette mila scout da tutt’Italia per celebrare la memoria di don Peppe Diana

Diilsycomoro

Mar 21, 2024

La pista di atletica che circonda il prato dello Stadio Comunale “Angelo Scalzone” di Casal di Principe si riempie di camicie azzurre. Sono circa 7mila gli scout che il 17 marzo sono arrivati da tutt’Italia per celebrare la memoria di don Peppe Diana, sacerdote ucciso dalla camorra all’interno della sua chiesa il 19 marzo 1994. Un unicum in Italia, non esistono infatti altri casi di parroci ammazzati dalle mafie all’interno di una parrocchia. Sono trascorsi 30 anni da quel tragico giorno, ma non c’è stato nessun corteo funebre, piuttosto una festa, proprio nello stile di don Peppe, che scout lo è stato per tutta una vita.

La storia

All’inizio degli anni ‘90 a dettare le regole in provincia di Caserta è il clan dei Casalesi, un’organizzazione spietata capace di piegare ogni attività economica attraverso intimidazioni e omicidi. «La sua più grande preoccupazione erano i giovani» dice Marisa Diana, sorella di don Peppe, «provava in tutti i modi ad attirarli in Chiesa per tenerli lontano dalla strada. In quegli anni avevamo paura anche di uscire e pronunciare la parola camorra ad alta voce». La notte di Natale del 1991, insieme ad un gruppo di preti della forania di Casal di Principe, don Peppe Diana si schiera apertamente contro la camorra pubblicando un documento dal titolo “Per amore del mio popolo non tacerò”, diventato poi il suo testamento spirituale.

Sono le 7:20 circa del 19 marzo 1994 e don Peppe si accinge a celebrare quella che poi è stata definita la “Messa mai detta”. Un ragazzo entra nella chiesa di San Nicola di Bari e chiede: «Chi è don Peppe?», lui risponde: «Sono io». Il ragazzo estrae la pistola ed esplode 4 colpi che colpiscono in viso e in petto. Ma don Peppe quella mattina non era solo in sacrestia. «Sono 30 anni che mi alzo e non riesco a non pensare a quel momento e soprattutto a quegli spari», confessa Augusto Di Meo, fotografo e amico di don Peppe, «in chiesa c’erano molti fedeli perché era la festa di San Giuseppe, ma scapparono tutti. Io non ebbi il coraggio di girare la faccia dall’altro lato, non avrei potuto sopportare un peso così grande. Quel momento ha cambiato per sempre la mia vita e quella della mia famiglia, ma rifarei tutto».

Grazie alla sua ricostruzione, il 4 marzo 2004 la Corte di Cassazione riconosce come autore materiale dell’omicidio Giuseppe Quadrano, con una pena di 14 anni perché divenuto collaboratore di giustizia e condanna all’ergastolo Mario Santoro e Francesco Piacenti quali coautori. Nonostante le sue dichiarazioni siano state determinanti negli accertamenti giudiziari, Augusto Di Meo attende ancora il riconoscimento come testimone di giustizia, simbolo che sarebbe importante per dimostrare al territorio dell’agro aversano che denunciare non solo è un dovere, ma è anche imprescindibile per ottenere un cambiamento.

Il 21 marzo 1994, due giorni dopo l’omicidio, si celebrano i funerali a cui accorrono oltre 20 mila persone. «Fu una giornata emozionante, che infondeva speranza», ricorda Renato Natale, sindaco di Casal di Principe allora e anche oggi, «quel mare di gente, quelle lenzuola bianche appese ai balconi della città, diedero il segnale che forse qualcosa sarebbe cambiato. Non a caso l’allora vescovo di Acerra don Antonio Riboldi in quell’occasione dichiarò: “È morto un sacerdote, ma è nato un popolo”»

Il miracolo di don Peppe Diana

Quel giorno avviene il miracolo di don Peppe. La sua morte attiva una forte presa di coscienza e innesca un percorso di riscatto della popolazione. «In quel momento abbiamo avuto anche un po’ paura, ma è durato soltanto poche ore, il tempo di guardarci in faccia e serrare le fila»dice Salvatore Cuoci, coordinatore del Comitato don Peppe Diana, «i camorristi erano convinti di aver seppellito persino la speranza, ma l’uccisione di don Peppe è stata il crinale, il punto di svolta da cui non siamo più tornati indietro. Quell’impegno ce lo siamo caricati sulle spalle e ci siamo assunti la responsabilità di poterlo tradurre in azioni concrete».

Il primo embrione di rete inizia ad incontrarsi quasi clandestinamente presso il Santuario della Madonna di Briano, all’inizio per fare memoria e poi per cominciare a costruire il futuro. Il 25 aprile 2006, giorno della liberazione, si costituisce ufficialmente il Comitato Don Peppe Diana che oggi conta 38 soci, tra cui università, scuole e associazioni fatte soprattutto di giovani che chiedono libertà e cercano nuove strade per progettare comunità alternative alla camorra, sane e solidali. I segni tangibili del cambiamento passano attraverso il riutilizzo sociale dei beni confiscati: le case vengono trasformate in centri polifunzionali, in biblioteche, in sedi di cooperative sociali che si occupano dell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati e i terreni messi a coltura per produrre sottoli, sottaceti, pasta, olio, cioccolata. Nasce il “Pacco alla camorra” che arriva fino al Parlamento Europeo di Bruxelles. «Quella di don Peppe è un’eredità pesante», continua Salvatore Cuoci, «lui non usava mezzi termini, era diretto e aveva una grande volontà. Ma è anche un’eredità entusiasmante, che ti fa fare festa e ti permette di guardare con speranza al futuro». Augusto Di Meo ci tiene però a precisare che «questo non vuol dire che la camorra è finita. Dobbiamo avere sempre le antenne ben alzate, essere attente sentinelle dei nostri territori, perché la camorra è come l’erba infestante, la gramigna, bisogna tagliarla il prima possibile per non darle il tempo di crescere».

Don Peppe lo scout

Don Peppe Diana, che era uno dei capi del Gruppo Scout Aversa 1, desiderava aprire un gruppo anche a Casal di Principe, ma confidava a Valerio Taglione, l’allora coordinatore del Comitato don Peppe Diana scomparso nel 2020, che il territorio non era pronto. Per quasi trent’anni, arrivano scout da tutta Italia senza mai però riuscire a mettere radici. Grazie alla spinta di Valerio Taglione, nel 2022, Gabriella Patricolo, Francesco Esposito e Marialaura Di Biase danno vita al Gruppo Scout Casal di Principe 1. «Per noi le date sono importanti», sottolinea Gabriella, «per questo i primi ragazzi che sono entrati a far parte del gruppo, hanno pronunciato la loro promessa il 19 marzo 2023 e lo hanno fatto in un luogo che era finalmente pronto a vivere lo scautismo».

Il seme che don Peppe ha piantato, è germogliato, dando frutti che hanno nutrito tanti giovani attraverso le parole di chi lo ha incontrato. «A volte le persone le conosciamo molto meglio dopo che sono morte, quando sono in vita le attraversiamo distratti» osserva Renato Natale, «don Peppe aveva le caratteristiche tipiche di un ragazzo casalese, dava anche la sensazione di essere un po’ spaccone sotto certi aspetti, ma in effetti era semplicemente un ragazzo irrequieto, come ha scritto lui stesso all’interno del suo profilo vocazionale». Poi continua: «In questi giorni meditavo sulla parola “eroe” a cui spesso don Peppe viene associato. La sua etimologia deriva dal greco “heros”, che indica una persona che tende verso il Divino, un po’ come i nostri Santi. Però c’è un’altra parola greca molto simile che è “eros”, cioè amore. E mi ha fatto pensare che questa sua irrequietezza positiva, che lo portava ad essere in qualche modo anche al di sopra delle righe, sia nata proprio dall’amore per la sua gente e per la sua città».

Gli scout, al grido di “Don Peppe Diana la nostra meridiana”, come da tradizione sfilano sotto il balcone del papà Gennaro e della mamma Jolanda, che fino a qualche anno fa salutavano il corteo sventolando il suo foulard. Oggi Gennaro e Jolanda non ci sono più, ma a sventolare quel foulard c’è Marisa, sua sorella, i parenti e gli amici che hanno raccolto il testimone e che continuano a camminare sugli ideali di don Peppe. Sul balcone c’è una sua fotografia e uno striscione che recita: “30 anni di assenza e sofferenza, ma anche di orgoglio e fierezza per la grande eredità che hai lasciato con il tuo sacrificio”.

(fonte vita.it)