• 27 Luglio 2024 11:23

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

Commento di Fra Marcello Buscemi e Suor Cristiana Scandura

Sabato della I settimana di Avvento

Letture: Is 30,19-21.23-26; Sal 146; Mt 9,35-10,1.6-8

Riflessione biblica

“Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Mt 9,35-38; 10,1.6-8). È un’evangelizzazione a tutto campo, quella di Gesù: il Vangelo va predicato ovunque, per rendere presente l’azione salvifica di Dio e mostrare la sua infinita compassione verso tutti noi. Egli è il buon pastore, inviato da Dio, per radunare e curare “le folle stanche e sfinite, somiglianti a pecore che non hanno pastore” (Mt 9,36). Ha compassione Gesù delle sue pecorelle: “va in cerca della pecora perduta e riconduce all’ovile quella smarrita, fascia quella ferita e cura quella malata, ha cura della grassa e della forte; le pasce con giustizia” (Ez 34,16). La sua opera è continuata dai discepoli, inviati a rendere ancora presente “la compassione” di Gesù: “Essere discepolo significa avere la disposizione permanente di portare agli altri l’amore di Gesù e questo avviene spontaneamente in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in una strada” (Papa Francesco). Essi, come Gesù, debbono annunciare l’avvento del regno di Dio, istruire il popolo di Dio e guarirlo dalle sue infermità. Annunciare il Regno di Dio: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”; anzi, che in Gesù il Regno di Dio è tra noi e in noi: “Se io scaccio i demòni per mezzo dello Spirito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio” (Mt 12,28). Istruire il popolo di Dio con le parole sante che guidano la nostra vita quotidiana: “Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza” (Rom 15,4). Guarirlo dalle sue infermità: “Noi, che siamo i forti, abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi. Ciascuno di noi cerchi di piacere al prossimo nel bene, per edificarlo” (Rom 15,1-2). Ciò che vale è la testimonianza della vita nell’amore, che guarisce le ferite della mente e del cuore, porta luce al mondo avvolto nelle tenebre della menzogna e dell’ingiustizia e dà forza e coraggio ai dubbiosi e agli afflitti di cuore.

Lettura esistenziale

“Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date›› (Mt 10, 5-8).  La vocazione e missione dei cristiani non è altro che questa: essere semplicemente, unicamente e profondamente innamorati di Dio. Il resto viene da sé. Quando si è innamorati non si fa che parlare della persona amata, la mente non fa che pensare a lei, il cuore batte per lei, gli occhi sfavillano di una luce particolare, si anela all’incontro con lei, si ripensano alle parole che ha proferito, ai gesti che ha compiuto. La stessa cosa vale nella nostra relazione con Dio. Chi è innamorato è come se avesse le ali. Tutto ciò che fa, lo compie con leggerezza, con gioia: volentieri. Se facciamo tutto con amore e per amore, compiremo tutte le cose con lo stesso slancio, gioia ed entusiasmo. I Santi erano e sono persone profondamente innamorate di Dio. Attenzione! Innamorate non di un’idea o di un’ideale, ma di una Persona viva e vera. Non dimentichiamo che Dio, in Gesù di Nazareth si è fatto Carne. Ricordiamoci però che l’amore verso Dio, se è vero, porta all’amore verso i fratelli. Perché: “Se uno non ama il prossimo che si vede, non può amare Dio che non si vede” (1Gv 4, 19).