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San Massimiliano Kolbe, il francescano martire dell’amore

Diilsycomoro

Ago 14, 2021

Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Queste parole, tratte dal Vangelo di Giovanni, si sono incarnate lungo i secoli nelle testimonianze di una schiera di uomini e donne, tra cui santi e martiri. San Massimiliano Kolbe, fondatore della Milizia dell’Immacolata nel 1917 e missionario in Giappone negli anni Trenta, le ha vissute lasciando un indelebile segno capace di vincere l’dio e l’oscurità del male con la luce del Vangelo. Nel 1941, viene deportato nel campo di sterminio nazista di Auschwitz, spogliato del saio francescano e destinato ai lavori più umilianti, come il trasporto dei cadaveri al crematorio. Per i suoi carcerieri è la matricola 16670.

San Massimiliano, definito da Paolo VI “martire dell’amore”, offre la sua vita in cambio di un padre di famiglia,  Franciszek Gajowniczek, che ha poi ricordato quei drammatici momenti con queste parole: “Kolbe uscì dalle fila, rischiando di essere ucciso sull’istante, per chiedere al Lagerfhurer di sostituirmi. Non era immaginabile che la proposta fosse accettata, anzi molto più probabile che il prete fosse aggiunto ai dieci selezionati per morire insieme di fame e di sete. Invece no! Contro il regolamento, Kolbe mi salvò la vita”. Il sacerdote polacco viene rinchiuso, insieme con altri prigionieri, nel “bunker della fame”.

Il martirio e la santità

La morte per amore

In quella cella, dove i detenuti sono condannati venivano lasciati senza cibo fino alla morte, San Massimiliano trascorre due settimane tra indicibili sofferenze lenite solo dalla preghiera. Il 14 agosto di quell’anno, la sua morte è preceduta da una iniezione di acido fenico. Prima di morire, mentre porge il braccio ad una guardia del campo di sterminio, pronuncia due parole: “Ave Maria”, l’ultimo sigillo di una vita affidata all’Immacolata. “La morte subìta per amore, al posto del fratello – ha detto San Giovanni Paolo II il 10 ottobre del 1982  durante la Messa di canonizzazione – è un atto eroico dell’uomo, mediante il quale, insieme al nuovo Santo, glorifichiamo Dio. Da lui infatti proviene la Grazia di tale eroismo, di questo martirio”.

Una luce sempre accesa

Nel pieno furore della persecuzione nazista, come ha ricordato Benedetto XVI all’udienza generale del 13 agosto del 2008 San Massimiliano Kolbe avrebbe pronunciato queste parole:  “L’odio non è una forza creativa: lo è solo l’amore”. Proprio l’amore è il tratto distintivo, l’imperituro lascito di questo santo che la Chiesa ricorda il 14 agosto, alla vigilia della solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria. Il 29 luglio del 2016 Papa Francesco, nell’ambito della sua visita ad Auschwitz, entra nella “cella della fame” dove era stato rinchiuso San Massimiliano Kolbe. Resta solo, assorto in preghiera, e uscendo pone la sua firma sul libro d’onore. Francesco lascia questo messaggio: “Signore abbi pietà del Tuo Popolo, Signore, perdono per tanta crudeltà”.

Quella di padre Kolbe – sottolinea Margherita Perchinelli, presidente nazionale della Milizia dell’immacolata – è una luce che continua a brillare anche oggi.